3.27.2013

 

Bassa democrazia


Non c’è nulla da fare, quel che frega e fregherà sempre l’italiano, è l’italianità. L’italianità e quella cosa, così facilmente sintetizzabile: “L’italiano evade il fisco, ma esige che l’altro paghi le tasse. L’italiano parcheggia l’auto davanti a un passo carraio, ma chiama i vigili urbani, se non trova il parcheggio sotto casa sua.” Questo è, e dobbiamo ammetterlo.
Così, per esempio, oggi è giornata di grande giubilo, perché in diretta streaming – e quindi anche nella tanto vituperata TV -  andrà in onda la democrazia. La bassa democrazia.
Da giorni si parla di “gesto eroico e rivoluzionario”, che imporrà la trasparenza della politica. La bassa politica. Il PD costretto a cedere, abbattuto a colpi di apriscatole, col nemico vinto al quale non si riconoscerà nulla, nessuna clemenza: “Potrà strisciare ai miei piedi per chiedermi un posto di lavoro, Bersani, che non glielo darò!”
Tutto il popolo, potrà finalmente vedere all’opera i propri eroi che con fermezza diranno: “NO!!1!!” no a tutto, nel compimento della loro bassa democratizzazione.
Io non guarderò, perché non amo guardare i pollai televisivi spacciati per dibattiti politici, non amo la gente chiassosa, non amo soprattutto diventare pecora nel gregge.
Perché è assai strana questa democrazia da imporre agli altri attraverso meccanismi di fascismo interno. E’ ben strano blindarsi all’interno di un hotel per meeting segretissimi, banditi alla stampa e alla conoscenza del cittadino elettore, sintetizzati poi su Twitter e Facebook, con uno “status” uguale per tutti i partecipanti, ma pretendere di aprire come una scatoletta di tonno le consultazioni altrui. Non mi pare né serio né coerente, esigere di vedere le carte altrui e rifiutare di mostrare le proprie. Perché non amo gli eserciti, né armati di cannoni, né armati di apriscatole, mandati spesso allo sbaraglio a compiere il lavoro sporco per il generale che se ne  sta al sicuro e al riparo dal pericolo.
Non mi piace questa strana democrazia, forse perché di democratico ha proprio nulla. Forse perché di politico non ha nulla, e credetemi – vi ho sentito esultare APPUNTO!1!!1! – non è proprio una grande vittoria. Non è proprio quello di cui avremo bisogno.
Rita Pani (APOLIDE)

3.25.2013

 

Follia collettiva (2.0 dal basso)


Scrivere per invocare il ricorso alla responsabilità, è ormai ridicolo, quasi umiliante. Persino pensare, a volte, sembra un inutile esercizio di stile. Si sorride molto, questo sì, proprio come quando spuntarono i leghisti dalle Alpi, come gli elefanti di Annibale. Guardiamo, un po’ increduli un po’ divertiti, perché ormai la preoccupazione è diventata abitudine, nemmeno ci affanniamo più. Attendiamo.
Poi capita che il neurone si riattivi, e ci induca nuovamente in tentazione e affannosamente leggiamo tutto quel che c’è da leggere sul nostro futuro, sulla vita che verrà, anche per cercare quelle soluzioni che nessuno troverà mai per noi. E lo sconforto ci abbatte.
Cerco il buon senso e non lo trovo. Cerco la vita che vivo, che vedo, che impietosisce, che addolora. Non vi è traccia. Cerco il nuovo, quello che vi avevano promesso, quello che sapevo essere l’ennesima italica farsa, con la speranza d’essermi sbagliata, ma non c’è.
Molti pronostici, invece, e previsioni, per questo popolo uso a sperare nella lotteria che possa cambiargli la vita. Addirittura si fanno scommesse sulla durata di un non governo, sui nomi col “toto ministri”,  e fantapolitica a tutto tondo, capace di coinvolgere finalmente, anche tutti quelli che fino a ieri … della politica? “Io me ne fotto!”
Le beghe interne del PD, col giovane e scalpitante Renzi che non si capisce bene se voglia far le scarpe al vecchio segretario oppure no. Un vecchio squinternato, ormai male in arnese, mangiato dai suoi stessi vizi, megalomane, mezzo criminale che promette – impunito – di sovvertire lo stato. Che porta in piazza ancora una volta, i ladri a protestare per le guardie, che paga vecchi pensionati, vegliarde plastificate che ancora sognano di poter piazzare la loro merce dinnanzi a una telecamera, per far finta di essere un popolo fedele, con i cartelli stampati in serie, con frasi che avrebbero fatto arrossire di vergogna persino Napoleone “silvio sei come Giulio Cesare” (mammamia sic!), e che oggi, forse a causa di un abuso di farmaci propone il suo fedele servitore come vice premier, di un governo comunque uscito dalle urne, dalla volontà popolare che gli era contraria.
Attendiamo. C’è il nuovo.
Quel nuovo che non posso leggere, che mi nega di sapere, perché io mi rifiuto di andare a visitare le pagine di quel blog, come mi rifiuto di leggere i giornali della stampa berlusconista, o di guardare le televisioni del malavitoso. Non cedo al mio diritto di  pluralismo, e quindi non mi fido a prescindere di chi non mi dà modo di confrontare. Trovo le briciole on line, dettate dagli “accreditati” che rilanciano il nuovo catechismo, e cerco anche là di scorgere buon senso. Non c’è. Un sacco di belle cose da fare, nessuna spiegazione su come si faranno. L’abuso del termine democrazia, nessun gesto democratico. Tagliare, togliere, demolire, distruggere, insultare. Per? Mai nessun accordo, (Oh già inciucio, sennò non lo comprendono) … Urla, MAIUSCOLO AGITATO. Abuso di punteggiatura, ma in nessun posto il buon senso, le cose urgenti da fare. Al punto che machiavellicamente mi ritrovo a sperare che, magari, ora che hanno aperto la scatoletta del tonno, gli piaccia il sapore.
Attendiamo, ma l’ho già detto, il tempo è finito e in ballo, in questi giorni non c’è la nostra vita, non ci siamo noi. C’è solo la nostra disperazione, perché tutti una cosa la sanno meglio di noi: “Più noi siamo disperati, più loro avranno facilità ad avere potere.”
L’unica novità ad oggi, e se prima dovevamo cacciarne con i forconi 100, oggi son 1000. Non c’è nulla di nuovo, e nemmeno mi pare che la gente si sia svegliata, anzi, il contrario semmai.

Rita Pani (scusate se me ne torno a dormire, dovrei essere in ospedale, e invece son qua, perché a meno che non sia in punto di morte, là dentro non ci torno più. Voi intanto continuare a giocare a risiko con la pellaccia nostra. C’è tempo. APOLIDE !!!!111!!1! )

3.22.2013

 

E governo non sia


Non abbiamo un governo, finalmente, e un altro po’ di tempo se ne andrà, perché la Primavera è iniziata e d’estate in Italia il tempo si ferma. Ora Pier Luigi, tocca a te far finta di darci un governo fasullo, che stia in piedi il tempo necessario per far finta di trovare il modo di fare le cose più urgenti che ci aiuteranno a far finta di non finire come la Grecia, o come Cipro.
La matematica non è un’opinione, e quindi è vero, la vostra coalizione è quella che ha preso più voti, anche se Grillo coadiuvato dalla ricerca scientifica di “Striscia la Notizia” ha sancito che i voti dell’estero sono finti e quindi non contano. Quindi tocca a te. Toccherebbe a te anche un po’ di coraggio, quello di ammettere che la moralità e la morigeratezza non sono un problema, perché dovrebbe essere “normale” la condotta morale irreprensibile per chi si appresta a governare; ma l’unica cosa urgente da fare, sarebbe quella di ripristinare, nel nostro povero paese ormai deforme, la democrazia del voto, con una nuova legge elettorale che cancelli la porcata voluta allora dalla feccia che demoliva e destabilizzava la politica italiana. Quella legge del maiale, che per troppo tempo ha fatto comodo pure a voi, e per mezzo della quale siete riusciti in complicità con gli altri a cancellare la garanzia delle reali opposizioni.
Credo che per questo mandato fasullo, questo e solo questo dovrebbe essere il tuo impegno, perché qualunque altra cosa non sarebbe altro che l’ennesima presa in giro dei cittadini (uso questo termine nella sacralità della sua accezione e non col nuovo significato imposto dal “nuovismo” imperante), difficilmente tollerabile.
La matematica non è un’opinione e quindi Pier Luigi saprai bene quanto me, che non potrai andare in nessun posto, forse nemmeno a giurare con i tuoi ministri. Questo potrebbe indurti in tentazione e finire col chiedere aiuto, per esempio a quel poco e lercio che è rimasto della Lega. Ecco, non farlo Pier Luigi, non lasciarti tentare, credimi se ti dico che sarebbe difficile da comprendere. Non oso pensare nemmeno ad un’alleanza col tizio non vedente di Arcore – sebbene ammetto che la sola idea irretisce il mio lato più bieco e cinico, quello anche più ilare – perché in questo caso sai bene che la contropartita sarebbe quella di dargli le chiavi del Quirinale, cosa che, se ci fosse Dio, potrebbe portare ad uno smottamento tellurico col conseguente crollo del Palazzo.
Con un po’ di coraggio e onestà, Pier Luigi, potrai da subito lavorare per scrivere una legge soltanto, che probabilmente ci porterà ad avere finalmente un governo e una politica seria e virtuosa che possa ripristinare il minimo sindacale di civiltà in Italia.
Ma scrivo così, quasi a caso, un po’ di banalità perché ho idea che a breve sarà un tutto già visto e un tutto sentito: “Io voglio il sistema alla francese … io lo voglio un po’ francese e mezzo tedesco … noi vorremo il premierato forte sul modello dello Zambia con sfumature sud coreane … a me invece non dispiacerebbe un dittatorato democratico con nuance latino americane …”
Ecco, Pier Luigi, non fare questo per favore, perché forse tu non sai che il tempo, il nostro tempo, è diverso dal vostro. Il vostro vi tiene ancorati là, il nostro, invece, ci porta via.

Rita Pani (APOLIDE) 

3.20.2013

 

Fischia! Il vento dell'umiltà


È vero, qualcosa in Italia sta cambiando: prima non ci davano né briciole né brioche, ora almeno qualche briciola ci piove. Dicono che il merito sia dei “grillini”, che hanno imposto il vento del cambiamento, dicono. E crederci fa bene al cuore e allo spirito. E poi il Papa nuovo, anche lui foriero di vento nuovo, di aria pulita.
Se prima ogni giorno dovevamo attendere la nuova mazzata della malavita al governo, oggi ci attendiamo il gesto morigerato dei palazzi. Meglio oggi che ieri, non v’è dubbio alcuno. Meglio sapere che c’è chi si decurta lo stipendio del 30%, meglio sapere che sapremo come si spendono i soldi delle caramelle, e meglio sapere che un anello è d’argento che le scarpe sono vecchie, che l’orologio è di plastica, che sapere che a spese nostre viaggiava un aereo carico di piccole troie eleganti, o che il codice penale veniva stravolto per garantire un debosciato, che i ladri rubavano a man bassa dalle casse dello stato.
Il problema è che in un senso o in un altro soffriamo di ingordigia.
Umiltà è la parola d’ordine, e ne avevamo così tanto bisogno che rischiamo l’indigestione. Il rischio è che il vortice dell’umiltà, spinto da questo vento d’aria nuova, ci travolga e ci faccia perdere ancora una volta – l’ennesima – il senso delle cose.
Siamo fatti così: non potendo avere più nulla di quello che ci è stato tolto, ci basta vedere che altri se lo tolgono, e quindi esultiamo per una bicicletta, per chi va a lavoro a piedi, per chi mangia ad una mensa esattamente come abbiamo fatto tutti noi, per anni o per una vita intera. Ribadisco: è tutto molto bello … però.
Però, per esempio mi chiedo: perché quando queste cose banali (riduzione dei costi della politica, taglio dei privilegi, diminuzione del numero dei parlamentari, redistribuzione del reddito) erano scritte nel programma elettorale del P.C.L più di cinque anni fa, erano minchiate demagogiche di vecchi comunisti – ed ora è opera meritoria? Eppure anche il P.C.L la politica la faceva in piazza e su Internet, ma  non aveva accesso alla televisione (non che non lo volesse, è che non ce li volevano a parlare in TV, esattamente come in queste ultime elezioni) non aveva comici, né nani, né ballerine, e soprattutto aveva un simbolo di partito e non un logo.
Certo è bello sapere che finalmente si siano decisi a proporre di guadagnare meno per loro, ma …
Oggi inizieranno le consultazioni per il nuovo governo, e oltre il vento dell’umiltà, vorrei sentire arrivare piccole folate di vita.
Ogni giorno apro la finestra, vedo il mare e i cassonetti della spazzatura. Più si accumula la spazzatura, più nell’arco della giornata vedo la gente rovistarci nel mezzo. Senza età, giovani, vecchi, chi con più maestria, chi con un po’ più di pudore. Vorrei che una folata di vento d’aria nuova portasse al Colle una domanda che non è più solo una parola o un modo di dire: rendere abili alla vita, non passando per l’obolo di uno stato umile e caritatevole, ma per mano di uno stato finalmente capace di assolvere al compito alto che un governo dovrebbe avere.
Mi piacerebbe sapere che la delocalizzazione delle imprese diventerà reato, che lo sfruttamento della schiavitù sarà un reato punibile con l’esproprio dell’azienda e la conseguente gestione statale, che gli enti che gestiscono le energie dovranno risarcire i cittadini ai quali hanno estorto danaro, che gli evasori fiscali risarciranno l’erario, che il cittadino troverà un medico e un letto in ospedale. Che la gente non sarà più così disperata da doversi ammazzare. E molte altre cose così, che potrebbero portare quel vento nuovo che ci sospinga in questa vita. A furia di volere nulla per gli altri, ci siamo dimenticati di esigere ciò che era nostro.
Rita Pani (APOLIDE)

3.17.2013

 

L'occasione fa l'uomo libero



Sto per scrivere su Grillo, è bene dirlo così che possiate scegliere se leggere o no.
Articolo 67 della Costituzione Italiana:
Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.
Articolo 68:
I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.
Ecco perché la Costituzione non è una carta vecchia da stracciare, ma un caposaldo da difendere strenuamente. Perché è l’ultima nostra tutela. Risparmiatevi, per favore, la faciloneria quasi stupida del “Sì, ma gli altri hanno fatto, sì ma gli altri hanno cambiato …” Noi non siamo altri, noi siamo noi, a volte persino con la pretesa di essere migliori.
Leggere oggi i farneticanti anatemi del signor Giuseppe Grillo, in arte Beppe, rivolti a quei cinque senatori che responsabilmente hanno impedito l’ennesimo dileggio delle istituzioni italiane, conferma il timore si tutti quei cittadini senzienti che altrettanto responsabilmente non hanno votato il Marchio Registrato o la società di Marketing.
Il dispotismo arrogante della proprietà del marchio, confermano il timore dei più: a lui del cambiamento importa davvero, ma non è lo stesso cambiamento che ha fatto credere fosse possibile apportare, ai tanti partecipanti e attivisti del suo movimento. Lui vuol solo cambiare padrone all’Italia, e degli italiani se ne fotte alla stessa maniera di altri despoti che hanno fatto dell’interesse privato l’unico interesse del governo.
I cinque senatori che ieri hanno impedito la riconferma di schifani (che un bell’odore non ha) hanno dimostrato anche a me, che forse una strada si potrebbe trovare. Non dico di far dell’Italia il paese di Bengodi, ma almeno il modo per provare tutti noi un po’ meno vergogna.
Ora sta davvero ai “cittadini”, dimostrare che quel “non me ne frega un cazzo di Grillo … dello statuto societario non me ne può fregar di meno” col quale sempre gli attivisti rispondono in merito al vergognoso atto costitutivo della società a conduzione familiare (zio, nipote e commercialista), è reale e in buona fede.
Starebbe anche al PD promuovere alla presidenza del Consiglio una figura irreprensibile, libero da condizionamenti, super partes e far sì che l’Italia possa avere un governo non a scadenza, ma deciso ed impegnato a ripristinare quel minimo di ordine democratico di cui necessitiamo.
Che io sia un’utopista non è segreto per nessuno, e mentre scrivo mi dolgo. È molto difficile che vada così, che il buon senso prevalga sulle vecchie logiche, persino su quelle che vendono vendute per nuove o nuovissime.
Quindi prima di lasciarmi andare a previsioni nefaste, vado in cucina a far diventare questa giornata domenica.
Rita Pani (APOLIDE)

3.16.2013

 

E pure per Francesco è tutta colpa dei comunisti


Viviamo una miseria così profonda che ci accontentiamo di nulla. Forse è un buon segno, il segno che comunque vada riusciremo sempre a conservarci, plasmando il nostro essere con la materia del bisogno.
“Non mi importa di quel che si dice del Papa, per me l’importante è che mi ha fatto una buona impressione, e poi, si chiama Francesco, e poi ha pagato il conto dell’albergo, e poi non vuole il trono, e la croce; la croce! Ha tenuto la sua, non ha voluto quella d’oro fatta a posta per lui.” Dice la gente, la stessa abituata a scendere in piazza con la speranza di vedersi porre un microfono dinnanzi alla bocca per poter dire: “C’ero anche io!”
La stessa gente che nell’immediatezza dell’elezione di Benedetto sedicesimo, colta da extasy divina riuscì a dire: “Ha gli occhi buoni!” (Oh Gesù!)
Allora, per quanto in questi giorni sia stata abbastanza silente, questa mattina trovo il messaggio di un seguace di Dio in terra – quello misericordioso – che dopo avermi augurato le sette piaghe d’Egitto escluse forse solo le cavallette, mi allega il link della dichiarazione di Padre Lombardi, quella che imputa ai comunisti anticlericali come me, la responsabilità delle bugie sulla storia dell’Argentina.
La miseria fa sperare ma non aiuta a sognare, a fantasticare.
Per esempio un Padre Lombardi che durante la conferenza stampa dice: “Sì, quando era ancora un vescovo o un arcivescovo o un cardinale, il monsignor Bergoglio, in effetti ebbe una sorta di collusione con il regime, ma che ci volete fare, era la storia di quei tempi e ti dovevi assoggettare. Poi però ha chiesto scusa, si è confessato, e quindi tutto è tornato ad essere come se nulla fosse. Fatta tabula rasa della sua anima, e assurto al soglio di Pietro per ricominciare.”
La miseria ci fa accontentare, e quindi che sia: tutta colpa dei comunisti. Tanto ci siamo abituati.
La miseria è così profonda che ci accontentiamo anche del veleno, e quindi giù, a menare a caso, “ndo cojo cojo”.
“Ti chiami Francesco? AH! Allora sarai il mio Papa quando andrai scalzo, quando venderai tutto l’oro della chiesa per dar tutto ai poveri, quando vivrai in povertà … venditi la casa.”
Si chiami Francesco, si chiami Ciccio, Chicco, Chikkinu, Franciscu, il mio Papa non lo sarà mai, perché non sono cattolica. Così come è difficile che il Rabbino Di Segni sia il mio rabbino. Tuttavia riconosco l’importanza del ruolo che assume e per questo anche a me piacerebbe …
Non che andasse scalzo, questo proprio non lo vorrei. È un vecchio, ha la stessa età di mia mamma, poverella. È vecchio quanto quel tizio, perché mai andar scalzo?
Mi piacerebbe che per esempio, Francesco, iniziasse a ragionare sullo IOR, a stanare e punire i pedofili che si annidano nella chiesa riempiendo le segrete del Vaticano di questi individui abominevoli. Mi piacerebbe che finalmente aprisse i cassetti segreti di duemila anni di storia, e dicesse alla famiglia Orlandi, che ne è stato di Emanuela. Mi piacerebbe che le collusioni mafiose dei cardinali con lo stato di mafia venissero rese pubbliche, giudicate e poi punite e che le case offerte in sacrificio ai vari Bertolaso, fossero messe disposizione di chi ne ha bisogno. Cose così, insomma, cristiane e francescane che aiuterebbero a correggere le nefandezze di una storia, che non può essere cancellata nemmeno con la scolorina di Dio.
Rita Pani (APOLIDE)

3.13.2013

 

Destabilizzante


Va da sé, signor Presidente, che non la rimpiangerà nessuno. Oh che fortuna la vostra! Avere noi come cittadini da governare. Capaci di affidare il destino delle proprie esistenze a un marchio registrato, il potere decisionale ad una azienda a conduzione familiare, che quando andrà a congresso sarà come una rimpatriata tra amici di Facebook.
La nostra stanchezza è la vostra fortuna. L’ignoranza dei giovani la vostra salvezza. La devastazione della scuola, il vostro futuro.
Siamo tutti qua oggi a dire che Napolitano non è il nostro presidente, come se lo fosse stato davvero anche un solo giorno, o come se il fatto di non essere il “nostro” le impedisca di esserlo. Ma noi ci accontentiamo, per fortuna vostra. Troviamo sempre qualcosa o qualcuno su cui riporre la nostra speranza, una società di marketing un marchio registrato, uno zio, un nipote, un commercialista, un giudice, un pupazzo rosso della televisione, un imbecille che va in giro vestito da coglione fingendo di essere un super eroe … Ci accontentiamo, o facciamo finta di accontentarci nella speranza che prima o poi salti fuori “la botta di culo” che ci possa mettere al riparo.
L’ho già scritto qualche tempo fa, ma mi piace ribadirlo: ormai siete così avanti rispetto alla massa, che non avete nemmeno più bisogno di prenderci in giro. Devo ammettere che ci ha provato, almeno, con quel funambolico suo discorso, con quella “vibrante preoccupazione per le tensioni destabilizzanti”. Perché per sua fortuna, ormai son rimasti in pochi a saper far di sconto, capaci di scindere l’acqua dall’olio. In pochi, ormai, cogliamo quanto destabilizzante possa essere il suo discorsetto pragmatico e occorrente.
Siete riusciti nell’impossibile, quando siete riusciti ad impedire che almeno due generazioni sapessero di poter esigere i propri diritti. Ci son giovani che non sanno cos’è un TFR, per esempio, che non sanno di avere diritto allo sciopero, che non sanno di avere diritto di accedere all’istruzione, di poter esigere la casa, il lavoro retribuito. Ci son giovani che attendono fiduciosi di essere impiegati come schiavi, ed anche meno giovani che si accontentano. Poi ci sono quelli come noi, che hanno fatto in tempo a lottare perché i diritti e i doveri continuassero ad esistere congiuntamente, per non sentirsi “destabilizzati”, e che oggi si pongono ancora domande. E son brutte le risposte, fa persino paura darsele.
Che brutta momento quello in cui un cittadino deve ricordare al presidente della Repubblica che abbiamo una Costituzione, e il suo articolo 111. Un articolo che poteva essere “garanzia anti destabilizzazione”, se lo squilibrato a cui si è dato agio, non lo avesse aggirato con le sue regole sulla prescrizione, con i suoi cavillosi articoli su legittimi impedimenti. Se non si fosse permesso all’interesse privato di andare a governare l’interesse pubblico.
Ma son solo chiacchiere … io intanto da tre mesi attendo un documento fondamentale per la mia esistenza. Che fa signor Presidente, scrive lei al tribunale civile di Cagliari, annunciando la sua vibrante preoccupazione? Perché sa, inizio a pensare che se trovassi i danari per affrontare il viaggio (con una botta di culo) potrei andare io a esigerlo. Con un forcone in mano.
Rita Pani (APOLIDE)

3.12.2013

 

La legge è uguale per me


Gli uomini e le donne che fanno la storia, tracciano le nuove strade in cui cammineranno i cittadini di una nazione. LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI, narra una leggenda, e io mi impegno a far sì che questa leggenda diventi realtà. Per far sì che questo accada, però, ho bisogno che qualcuno di voi mi aiuti.
Come molti sapranno, attendo di essere processata per il reato di diffamazione, avendo io in uno scritto dato “dell’ossimoro” ad un partito fascista e della “testa di cazzo” a un fascista. A nulla è servito spiegare che quell’articolo incriminante era totalmente in difesa della Costituzione Italiana, che di fatto proibisce il fascismo. Dovrò rispondere del gravissimo reato a me ascritto, e se fino a ieri la cosa disturbava e offendeva la mia dignità, oggi ne vado fiera.
LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI, e io mi impegno a dimostrarlo.
Il giorno prima del processo mi farò mettere un dito in un occhio, poi mi recherò presso un reparto di oculistica di un ospedale qualsiasi e pretenderò di essere ricoverata, inviando al tribunale il certificato medico.
Il giorno dell’udienza, però, un centinaio di voi dovrà invadere pacificamente il Palazzo di Giustizia, rilasciando dichiarazioni ai giornalisti e alle agenzie di stampa, sullo stalinismo dei medici dell’ospedale, e sul nazismo di quelli fiscali, magari aggiungendo anche che ci troviamo palesemente di fronte a un tribunale fascista, gretto e ignorante.
Contestualmente, quattro o cinque persone di Roma, dovranno recarsi dal Presidente della Repubblica, perché imponga alla magistratura di annullare il proprio discutibile lavoro, e che anzi sancisca che a me nessuno può toccarmi, così come è giusto che sia, nel rispetto di quella citazione che a lettere cubitali, deride ogni aula di Tribunale.
LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI, e quindi io non voglio che per me sia diversa da come è intesa, o s’intende per altri cittadini italiani, siano essi mafiosi, pedofili, debosciati, bugiardi, corruttori, evasori fiscali. TUTTI significa TUTTI, e quindi anche IO.
Questo perché davvero mi son seccata di essere eticamente e moralmente corretta. Perché mi sono seccata di farmi bastare la faccia che vedo allo specchio ogni mattina. Perché essere stati onesti ed irreprensibili per una vita intera, oggi non fa sentire meglio, ma semmai frustrati ed imbecilli.
L’impegno profuso inseguendo l’ideale della giustizia sociale, dell’importanza fondamentale del cittadino, inteso come parte integrante della società, lavorare per il bene comune e farlo sempre gratis, senza avere mai nulla a pretendere, restando coerenti, senza mai svendersi al miglior offerente, senza mai cedere di sé la dignità, non è servito proprio a un cazzo. Credo sia giunto davvero il momento di esigere di essere tutti uguali. Uguali a loro.
Rita Pani (APOLIDE UGUALE)   

3.09.2013

 

Un letto d'ospedale


E ora che abbiamo smesso di ridere per le migliaia di trovate geniali date alla satira dall’ultimo gesto di quel tizio, debosciato e falso cieco, torniamo seri. Voglio ribadire un’altra volta la mia utopistica speranza: che un Tribunale del Popolo, possa condannare lui e tutta la sua feccia sodale, prestissimo, a vivere una vita “normale” come la nostra, in modo tale che si renda conto di cosa possa significare aver bisogno delle cure mediche, di un letto in ospedale (non per sottoporsi a uno dei suoi restauri annuali), di una visita medica specialistica.
Siamo forse troppo abituati all’arroganza megalomane di questo essere infame, che in un paese “normale” – lo si è detto troppe volte – sarebbe già rinchiuso in una galera e dimenticato, e che certo non avrebbe potuto per una volta ancora non solo candidarsi al Parlamento, ma prendere i voti necessari ad essere eletto. In un paese normale non ne avrebbe preso nemmeno uno, di voto, nemmeno quello di un suo familiare. Non mi importa l’obiezione, la conta dei voti persi dal partito del malavitoso; tengo il conto di quelli presi e sento addosso tutta l’umiliazione per la nazionalità che mi è toccata in sorte, che a volte mi ripugna.
Siamo abituati alla disparità. Ad essere succubi di questo sistema mafioso, assoggettati come schiavi che non riescono a liberarsi, ed anzi sperano di liberarsi donando ad altri la propria schiavitù.
In quale altro paese al mondo, parte del parlamento eletto potrebbe mai pensare di scendere in piazza per protestare contro una magistratura che indaga, e lavora, con tutte le difficoltà date dalle leggi fortemente volute dallo stesso malavitoso che ha potuto farle scrivere direttamente ai propri avvocati/parlamentari?
Non c’è al mondo un paese ridicolo come il nostro, impoverito dalla nostra pochezza e dalla mafia altrui. Ogni giorno offesi e umiliati ci accontentiamo di ridere, o di gioire quando finalmente lo Stato (buono) sferra un colpo all’altro stato (quello marcio, quello suo e di tutti quelli che ancora una volta lo hanno votato), e siamo tutti Ilda Bocassini per un giorno.
Forse sta qua l’errore. Forse dovremmo esigere di essere curati quando stiamo male, andare in ospedale scortando i nostri cari, spesso vecchi, ed esigere (con una mazza chiodata in mano) che a loro venga trovato un letto, e non accontentarsi più di una barella accatastata in un corridoio. Difendere con la forza gli ospedali che chiudono.
Siamo il paese dove devi attendere anche se hai un cancro che ti mangia dentro, dove i malati di Alzheimer hanno come assistenza solo quel che resta della famiglia, dove i malati psichiatrici spesso sono a totale carico della famiglia, dove i disabili sono a carico della famiglia. Un paese in cui per essere curato hai due opzioni: o conoscere qualcuno per saltare la fila, o pagare. Un paese in cui la sofferenza si tace per decenza o per propaganda. Un paese in cui l’ingerenza della chiesa impedisce le cure e sentenzia la morte di chi potrebbe essere curato. Lo stesso paese in cui però la chiesa ti impedisce di decidere di morire. Il paese della sanità che non esiste, del malato che non ha più diritti.
Esigiamo lo stesso diritto di quel buffone, che proprio non ci sta ad essere processato.
Se fosse possibile almeno fargli provare un poco di vergogna! Ma questo non avverrà mai, perché gente così non sa proprio cosa sia la coscienza. Quindi vergognatevi voi – coglioni – che ancora una volta avete avuto il coraggio di votarlo.
Rita Pani (APOLIDE)

3.08.2013

 

Un giorno qualunque


Arriverà il giorno in cui l’otto marzo sarà come oggi, per tutte, solo un giorno che annuncia la primavera, col sole caldo che invita a tenere le finestre aperte? Lo auguro di cuore a tutte quelle donne che ancora non si sono guadagnate il diritto di respingere ogni augurio, ogni fiore che non profuma, ogni dono che serve solo a segnare la lunga distanza dall’essere finalmente persona.
Guadagnarselo, sì, il diritto di non essere parte del gioco al massacro che ti schiaffeggia per un anno intero, e ti lusinga per un solo giorno perché per noi donne, anche ciò che sembra gratis ha un costo, che spesso si pensa di non poter pagare.
Bisogna guadagnarselo il diritto di non aver bisogno di auguri, ricordandoci noi per prime, ogni giorno dell’anno, che siamo persone, che abbiamo la dignità da difendere, che abbiamo la forza di stare in piedi a dispetto della vita; una forza che nasce dalla necessità di non soccombere.
Certe volte nemmeno ci accorgiamo che il diritto lo svendiamo ogni giorno dell’anno, quando lasciamo che uno sguardo dato al nostro sedere sia il metro che misura le nostre capacità, e ci sentiamo quasi lusingate, o superiori. Quando anziché esprimere le nostre opinioni facciamo si che a parlare siano le nostre tette, quando mercifichiamo il nostro pensiero, quando svendiamo i nostri sentimenti, quando continuiamo a crogiolarci nella bellezza dolorosa di un ruolo recitato: l’essere donna.
Non deve avere bisogno di auguri una bella persona, che è anche una bella donna, che è elegante anche quando parla, che ha delle belle tette, ma che quando si esprime è come se imponesse all’uomo di chiedere il permesso, per posarci lo sguardo anche furtivamente, e che a guardarle il sedere bisogna essere svelti; ladri con lo sguardo.
Può aver bisogno di altri auguri, la donna che smette di aver bisogno di mimose d’auguri. Quando decide di porre fine alla sua prigionia, andando via dalla sua prigione l’attimo prima di morire, portando con sé tutto il dolore per quello che a volte pare un fallimento, e si ritrova sola, senza nessuno da cui rifugiarsi, con qualcosa da inventarsi per sostenersi, in uno stato che non prevede accoglienza, e che si affida alla solidarietà di altre donne che a loro volta –spesso- si son liberate.
Ha bisogno di molti auguri, ogni giorno dell’anno, la donna che non cede di sé la dignità e conserva quella forza che a volte pare l’arroganza dell’essere semplicemente una donna.
Bisogna guadagnarsi il rispetto e dopo esigerlo, fortemente, non facendo mai spreco di sé, avendo per prime il rispetto di se stesse.
E necessario che la donna per prima comprenda d’esser persona, e il resto verrà. Compreso quel giorno in cui oggi, domani sarà soltanto ieri. Un giorno qualunque in cui finalmente c’è il sole.
Rita Pani (APOLIDE)


3.07.2013

 

Ci state uccidendo


Egregi* … Non so a chi rivolgermi in questo periodo di abisso prostituzionale, in cui è difficile trovare un referente a cui rivolgersi. Scrivo a qualcuno – dio solo sa a chi – per mettervi al corrente di un fatto che in questi giorni pesanti pare sfuggirvi: stiamo morendo.
A differenza di molti idioti, assunti in questi giorni dopo anni di tortuoso peregrinare al ruolo di “cittadini” non ho esultato per il suicidio del dirigente della Banca Monte dei Paschi di Siena. Avendo molto rispetto per chi trova il coraggio di porre fine alla sua sofferenza – qualunque essa sia – ho avuto un moto di umana pietà. Lo stesso che ho provato dinnanzi alle vittime della Regione Umbria – tutte le vittime – compreso l’assassino, che lo stesso coraggio ha avuto, ponendo fine al suo travaglio. Pena e dolore per ogni altro che solo nella giornata di ieri ha deciso di smettere la resistenza passiva contro uno stato che ormai non c’è più, devastato dal prima, e finito dal poi.
Posso comprendere la difficoltà di dedicare qualunque tipo d’energia nel correre in nostro soccorso, in questo momento di cambiamento epocale, posso comprendere che dobbiate dedicarvi allo studio dei metodi di questa nuova politica non politica, d’abolizione e di rincorsa al nuovo non potere. Posso comprendere che dobbiate misurarvi con un nuovo avversario che a differenza degli altri tiene coperte le sue carte, ma che comunque, esattamente come nel vecchio sistema, impone di giocare d’azzardo sulle vite di tutti noi. Quello che non comprendo, è altro.
Per esempio perché si mostri al Paese la fine di un uomo – perseguitato dalla magistratura? – un eroe che non ha voluto cedere al potere dei magistrati rossi? – Un uomo che ricopriva una carica importante, per il quale avete trovato il tempo di dichiarare qualcosa, di esprimere un’opinione, una parola di conforto per i suoi familiari.
Non comprendo neppure perché un gesto altrettanto orrendo, violento e inqualificabile, sia stato archiviato frettolosamente come il classico “gesto di un folle”, e a nessuno sia venuto in mente di fermarsi un momento per interrogarsi sulle responsabilità collettive, che hanno armato la mano di quell’uomo. Un pazzo. Ottimo argomento per lavare la coscienza.
E gli altri? L’imprenditore, l’operaio, il venditore ambulante? Per loro non avete trovato alcun tempo. Povera gente incapace di chiedere aiuto – così si liquidano questi morti ignoranti.
C’è qualcuno che possa renderci conto, o si dovrà attendere ancora che abbiate messo a punto le vostre strategie di potere, o di potere non potere? Siamo ancora di casa in quest’Italia di merda, o dobbiamo iniziare noi a pensare qualcosa di veramente nuovo che non preveda ne il vecchissimo, ne l’usato sicuro, con la regola dell’ ognuno per sé?
So di avervi scritto qualcosa di terribilmente impopolare, ma a volte anche io guardo lontano fuori dalla finestra e penso che mi trascinerò fino a quando potrò, dopo di ché me ne andrò – insalutata ospite. Solo che poi rifletto, e anche a me assale la follia. Il sogno di potermene andare in compagnia.
Questa è la vita che mi hanno regalato vent’anni di barbarie berlusconiana, l’ignavia colpevole dei compatrioti, il lassismo di una classe politica che ha tradito tutto ciò in cui noi credevamo, ed ora anche questa gioventù fatta di nulla, che crede di poter trasformare ancora l’Italia da un paese di merda ad una sorta di club esclusivo ‘nzacco alternativo.
Ci state uccidendo.
Rita Pani (APOLIDE)


3.05.2013

 

L'ultima storia da raccontare


Mi viene da sorridere pensando: “Forse è vero che sono vecchia.” Il fatto è che quando entri nel vortice del “ti ricordi?” comprendi d’improvviso che c’è chi non può ricordare semplicemente perché non c’era, perché la storia non è necessariamente un secolo fa. La storia è anche ieri.
Ed è una storia che a scuola non si studia, e pure se si studiasse Loris, che alla mia domanda: “Ma cosa state facendo a scuola di storia?” rispondi candido: “Fabio Massimo il temporizzatore” non servirebbe a tanto.
Il fatto è che nemmeno tanto tempo fa, Craxi rubò anche una fontana da una piazza per portarsela a casa sua ad Hammamet, e c’era il Pio albergo Trivulzio, e un mariuolo che a nome dei socialisti di allora, rubava e rubava. Poi vennero i giudici che scavando, scavando trovarono che tutti (quasi tutti) rubavano. Poi vennero i vendicatori, un tizio con una calzamaglia in testa che si alleò con dei buffi figuri con l’elmetto cornuto sulla testa, che si inventarono origini celtiche, tiri alla fune, pallottole mai sparate, l’esercito di Franceschiello mai partito in battaglia.
Mi ricordo quei giorni in cui – come oggi – tutto era vendicativamente perfetto. I lustrini da un lato, il cerone e il fondotinta, e le canottiere dall’altra. Tutto era nuovo, e tutti gridavano: “BASTA!”
Soprattutto tutti gridavano: “BASTA POLITICA”.
I giornali descrissero la calata dei legaioli a Roma – la presa di Roma, la conquista d’oltre muro – e tutto sembrava folklore. Come erano buffi questi sprovveduti un po’ grezzi e molto ignoranti. Parlava quasi sempre solo un tale, che si chiamava Miglio, tutti ascoltavano e dicevano: “Dice anche cose giuste”, senza considerare che quelle sbagliate erano naziste. Poi vennero fuori quei quattro o cinque che furono autorizzati al potere. Braccia tese a manico d’ombrello, celodurismo, razzismo, abominio, umiliazione delle donne, furono i nuovi canoni del lessico politico. Facile da comprendere anche per il più cretino degli italiani, e soprattutto utile a non porsi troppe domande. Il nord era vendicato, conquistato. Si attendeva la presa di Roma, la secessione … Gli altri, quelli che non erano del nord, invece, più astuti, si fecero vendicare dal figlio del cassiere della Banca Rasini, un piduista arrivista, malavitoso, in odore di mafia che aveva già iniziato a convertire il popolo attraverso le sue televisioni, fatte di tette e di nulla, di bellezza sul modello americano, dove tutto risplende al punto da coprire persino l’odore molesto.
Subito in tanti capimmo che era tutto fasullo, e che un ladro andava a sostituirne un altro. Ma c’era questa bella novità di alleggerire il tempo depoliticizzando il pensiero, che avevamo voglia di starnazzare sul pericolo della democrazia: la gente era stufa.
E scorrendo veloce il tempo, siamo arrivati fino a qua. Al punto e a capo.
Ladri leghisti, malavitosi, mafiosi, fascisti mai domi, razzisti, democristiani, oggi rappresentano il nuovo craxismo. Peggiorato dai vendicatori a cui per stanchezza, per ignavia e troppo spesso per complicità si è data la libertà di fare esattamente tutto il deserto che hanno fatto.
E quindi? Quindi si ricomincia il giro, esattamente da dove avevamo lasciato. E andremo avanti così, forse per altri vent’anni, a vivere le stesse disillusioni, a correre gli stessi pericoli, a continuare a starnazzare le stesse cose di vent’anni fa, con vent’anni di più sulla schiena, però, che iniziano a farsi sentire tutti interi.
È normale che chi non ha memoria dei fatti semplicisticamente narrati fino a qua possa desiderare di vivere un’illusione, è un po’ meno normale, però, che la stessa illusione la voglia vivere chi ha la mia età e forse anche qualcosa di più.
Il rischio di oggi è semplicemente uno: che la tecnica si sia affinata …
Magari si potesse cambiare davvero. Ci vorrebbe rispetto per l’energia spesa a sognare un sogno che non vi lasceranno fare.
Sono molto stanca, e non ho più storie da raccontare.
Rita Pani (APOLIDE)

3.04.2013

 

Antifascista sempre!


Ho provato a tenere la distanza, ho provato a tacere per una volta, ma ci sono argomenti verso i quali, tacere, significherebbe rendersi complici, massificarsi, perdere di dignità. Ho un forte rigurgito antifascista, perché io antifascista lo sono fin dentro il midollo. Ho provato a tacere dopo aver letto le farneticazioni della cittadina portavoce alla Camera del movimento cinque stelle, ma non ho potuto.
Forse perché per me l’antifascismo è un valore, forse perché ho a cuore la mia dignità, forse semplicemente perché se pure ogni giorno di meno mi sento cittadina di questo stato, non voglio arrendermi.
Sia chiaro, non sono una sprovveduta, so bene che siamo rimasti in pochissimi a considerare l’antifascismo un valore, e so bene che nel ventennio parafascista instaurato da quel malavitoso che ha distrutto l’Italia, anche molte istituzioni si sono chinate al disastro, ed è proprio per questo che non intendo piegarmi, e mai mi piegherò al pensiero corrente.
Mi urta più che mai, poi, quando per dare senso a certe farneticazioni si usa la formula berlusconista del “tanto il fascismo e il comunismo, in Italia non esistono più” (cito a memoria).
È quanto di più miserabile sia stato insegnato alle nuove generazioni di italioti. Il fascismo, non ha nulla a che vedere con l’ideologia comunista – per fortuna ancora presente, almeno in me – e soprattutto, cara cittadina, il fascismo in Italia continua ad essere un reato. Il fascismo non dovrebbe più esistere – nemmeno sotto forma di folklore – semplicemente perché è proibito dalla nostra Costituzione, quella che ormai in tanti vedono come roba vecchia.
Quella carta vecchia, negli anni ci aveva salvato proprio dalle derive in qui da troppo tempo ormai, stiamo navigando.
Non riesco a tollerare che il razzismo o l’attitudine a “sprangare”  possano essere liquidati come gesti folkloristici di ragazzetti dediti alla goliardia. Perché negli ultimi vent’anni troppo spesso si è soprasseduto di fronte al corpo carbonizzato di un barbone, un gay massacrato per strada, l’extracomunitario preso a sprangate.
Di fronte al pericolo fascista, di fronte all’apologia del fascismo, di fronte a queste pericolose stupidità, io non mi fermo e rialzo la testa, e poco m’importa d’essere annoverata tra i nuovi nemici del futuro stato perfetto che anela ad avere il 51% dei consensi per poter finalmente avere il potere (stesso sogno infranto dell’altro tizio, guarda un po’). Poco mi importa dei nuovi insulti appositamente coniati per coloro che hanno conservato la libertà di pensiero prima, e hanno deciso di mantenerla ora. L’antifascismo è  un valore, quello che paradossalmente ha garantito anche a voi di arrivare in cima alla piramide, o forse due gradini sotto la cima.
Una volta si diceva “vigilanza democratica”, parole ormai in disuso, lo so, senza neppure una kappa a rafforzare, ma anche questo per me è obbligo etico e morale, e potete scommetterci il culo che non demorderò mai.
Perché io antifascista lo sono davvero, fino al midollo e pure un poco più in là.
Rita Pani (ANTIFASCISTA … scritto di getto e scusate lo sfogo)

3.02.2013

 

Dai, facciamo che ...


Dai! Facciamo un gioco tutti insieme, così tanto per rilassarci un momento in attesa della domenica.
Dai! Giochiamo come fanno i bambini, o come facevano un tempo, quando era bello inventarseli i giochi.
Dai, facciamo che vivevamo tutti in un mondo fatato, dove tutto era possibile. Facciamo che un partito politico che ha sgovernato l’Italia per tanto, tanto tempo, una domenica di marzo andrà in piazza a manifestare contro i PM (Pubblici Ministeri) Cancro. E poi facciamo così: noi ci mettiamo là e non ce ne frega un cazzo!
Facciamo che un malavitoso, si è arrogato tutti i diritti che fino a quando eravamo tutti cerebralmente vivi, nessuno avrebbe mai osato arrogarsi. Facciamo che davvero, la gente vada in piazza con lui a protestare: “Pi – emme – mer- da! Pi – emme – mer-da! Chinonsaltapiemmeè…è…è…”
Facciamo che a distanza di vent’anni, un giorno ci svegliamo e ci ricordiamo che un malavitoso, proprietario di mezza Italia (isole comprese) non è eleggibile in base a una legge del millenovecentoequalcosa, ma tutti se ne erano dimenticati, fino a quando i Maghetti intellettuali, finalmente trovarono un attimo per … puff! … ricordarlo alla gran massa di persone, villici e mezzadri, che per lo stesso lungo, lunghissimo tempo, non erano mai andati a votare, al punto che, ritrovandosi un giorno dentro una cabina elettorale, con un bastoncino di legno in mano, non sapevano nemmeno cosa ci dovessero fare, e se lo leccarono.
Dai facciamo un gioco! Facciamo che è un paese pazzesco, dove tutto accade! Facciamo davvero che si possa andare in piazza a dar del cancro ai magistrati, dei fottuti bastardi alle istituzioni … Che sarà mai? Si può fare, come quella volta che Nicola ‘o americano era scappato con le liste elettorali, o come quella volta che il tizio ‘o nano, aveva detto che un mafioso suo stalliere era un eroe.
Dai! Giochiamo al gioco del non ce ne fotte una mazza, e se pure ce ne fotte che ci possiamo fare noi?
Poi facciamo che ci chiamano i carabinieri e ci dicono che dobbiamo presentarci con urgenza, perché un PM ha stabilito che Rita Pani, dando “dell’ossimoro” al partito fascista l’ha diffamato. E facciamo che Rita Pani va in procura, e si trova un avvocato, e risponde alle domande, e per quanto perplessa sottostà al sistema giudiziario italiano, perché per quanto giusto o sbagliato che sia è uno di quegli organismi che fino a qualche tempo fa garantivano la legalità in questo paese dove tutto ormai appare clownesco, ridicolo, umiliante e vergognoso.
Dai facciamo un gioco, facciamo che tutto era possibile e noi avevamo dimenticato di essere …
Rita Pani


3.01.2013

 

Un piccolo e amarognolo rigurgito comunista


Ne è morto un altro all’Ilva, tanto per non far credere che l’Ilva uccida solo di tumore. L’ho letto piccolo piccolo su un giornale, tra le note di un mafioso, quelle di un buffone, e di un vecchio stanco che non sapeva più che pesci pigliare. C’è scritto pure che aumenta la disoccupazione, e che i giovani son destinati a non lavorare, mentre invece quelle come me, che galoppano verso i 50 anni …  hai voglia di sperare.
Ci raccomandiamo di non smettere di sognare, forse per farci coraggio, o per non appesantire l’aria troppo difficile da respirare, ma non sappiamo più nemmeno cosa ci piacerebbe sognare. Forse che ci assista la salute, che sennò non ce la potremo pagare. Forse di riuscire ancora ad avere un po’ di pane, che la carne poi chissà che schifezza contiene, sempre ammesso che sia carne.
Dicono che ora si può iniziare a sperare, che finalmente la gente ha il potere. Ma com’è che non riesco ad esultare? Forse perché sono una pennivendola bugiarda, così sfigata da non avere nemmeno un padrone, o perché sento dire sempre le stesse cose, e mi spaventa tutto quello che nessuno dice più.
Nemmeno fan finta di prometterci pane e lavoro, come se ci dovesse bastare di sapere che soldi, ora, ne prenderanno un po’ meno – loro- Ben venga, ma a noi?  Quando ci toccherà che qualcuno parli di noi? Basta ai privilegi – e come non essere d’accordo? – ma a noi, quando ci restituiranno almeno un diritto? Ci basterà davvero placare la nostra sete di sangue altrui, senza accorgersi del nostro che versiamo?
Sono tutti così certi della nostra conclamata disperazione, che non hanno più esigenza nemmeno di prenderci per il culo, ormai. Nessuno ha vinto davvero, siamo noi ad esser vinti.
Si può davvero pretendere di riorganizzare lo “Stato nel lavoro”, con tre righe e mezza di programma da campagna elettorale? Se sì, fatelo, cacchio, perché io non so rubare. Si può parlare davvero di strategia dei cavi del telefono, di cessazione del monopolio, del riordino dei mercati, quando ogni giorno ricevo almeno due o tre telefonate dalla Romania: “Buonciorni sono Antonij da Telecomitualia …” Che nemmeno siamo più buoni per un call center ormai?
Quante domande in così poco spazio, e nemmeno una risposta.
Però che bella questa giornata, son ricominciate a piovere le e-mail con gli inviti a partecipare alle nuove costituenti comuniste. Succede praticamente dopo ogni legnata elettorale, proprio come se oltre me ci fosse rimasto un altro comunista al mondo. Sembra che arrivi con le urne il risveglio dal letargo, e leggo quelle parole che una volta avevano senso … una volta. “Ti ricordi Compagno Marco, quando ti dissi che l’aggettivazione avrebbe ostacolato la necessità di ricreare un grande partito di massa che avesse a cuore gli strati deboli della società … etc, etc, etc …” Certo che ti ricordi, fu quella sera che poi mi mandasti a cagare, dicendo che ero troppo vetero comunista anche per te, e che dovevo guardare avanti …
“Compagn* siete invitati a partecipare alla prima riunione per la nuova costituente COMUNISTA … [cut] … si deve uscire dall’aggettivazione, rifondando un grande partito di massa, capace di contenere tutti i diversi strati deboli …. [Cut]
Ne è morto un altro all’ILVA, spero ci sia qualcuno di noi fuori dai cancelli. Perché noi c’eravamo sempre, noi non mancavamo mai. Noi non ci siamo più.
Rita Pani (APOLIDE)
PS Compagno Marco: vai a cagare!

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