4.30.2012

 

Tanto grillo che pare berlusconi


“E no, signora mia, io questa volta voto Grillo!”
“Guardi, fa bene. Veramente! Io però voto Berlinguer.”
“Come Berlinguer? Non è nemmeno candidato!”

Sì, Berlinguer per fortuna è morto, ma a guardar bene, nemmeno Grillo è candidato ma non è importante. Ormai la politica si risolve in nulla o in nostalgia.
Anche le parole non sono più importanti; l’importante è dirle e dirne tante, anche se a furia di ripeterle finiscono per perdere di senso, o peggio, dirne così tante da avere la sensazione di averle finite, frugare nelle tasche e cercarne di nuove sempre più colorate, sempre più arrabbiate, che spingano le folle osannanti e roboanti a reagire. A votare.

Allora si può stare in Sicilia ad osannare il vate che odia lo Stato, dire che in fondo la mafia è un po’ meglio di questo stato. La mafia si limita a chiedere il pizzo; lo stato soffoca e uccide i cittadini. Non so, non voglio nemmeno sapere quale sia stata la reazione dei nuovi fulminati, quelli che dopo Gesù Cristo hanno visto Grillo camminare sulle acque. Io avrei vomitato, lo avrei fermato, e gli avrei chiesto di chiedere scusa, di rimangiarsi quello sputo fino a soffocarsi.

Parlare per parlare, aizzare le folle, fino al punto di non ritorno certi che a pochi salirà la nausea per il nulla inculcato. Voglio sperare che non ci sia stato un applauso, ma un mormorio pesante di disappunto e dubbio. Un ritorno di coscienza che abbia fatto sorgere in chi ascoltava la memoria del recente passato. Dell’allora ministro escavatorista lunardi, che disse che con la mafia bisognava conviverci. Dei morti di mafia che non potendo più “pagare solamente il pizzo” si sono uccisi, o sono stati uccisi con la lupara bianca, e sottratti da morti alle famiglie che hanno dovuto continuare a vivere nonostante tutto. Spero, voglio fortemente sperare che in qualcuno – anche solo uno – di quelli che fino a un attimo prima, si spellavano le mani in applausi calorosi, sia venuto in mente che tutto questo, deriva proprio dalla mafia che da anni, ormai, il paese lo governa, governando a maggior ragione questo fenomeno nefasto che tutti chiamano “antipolitica” e che, come molte cose in Italia, ha senso pur non volendo dire un cazzo.

Forse ormai si ascolta solo quello che si vuol sentire, disabituati al pensiero anche semplice. Tutto accade nonostante noi. La gente si ammazza in una strage continua perpetrata dallo Stato, è vero, e non saranno mai incarcerati i responsabili. Anche questo è vero. Ed è pure vero che non importa a nessuno dello stillicidio di impiccati o sparati in bocca. Bisogna farla finire, e quindi: “Signora mia io voto Grillo, che almeno non è un politico.” Quindi la strage continuerà con buona pace di chi ha smesso persino di esigere di essere parte integrante della società.

Manca da parte nostra – cittadini semplici – la pretesa della nostra dignità, la cessazione dell’insulto alle nostre intelligenze. A volte, temo manchi anche la pretesa della propria intelligenza, ma questo sarebbe un altro discorso. Possono dirci tutto, ormai. Noi sorridiamo, e poi a maggior ragione, Grillo è un comico, cos’altro potrebbe fare se non farci ridere? E di concorrenza ne ha a iosa. Dalla Fornero alla Cancellieri, da Marchionne alla Marcegaglia, è una bella fucina di ilarità e simpatia.

Sì. Io voterò Berlinguer, signora mia. Non è candidato? Sì, proprio come Grillo.

Rita Pani (APOLIDE)


4.26.2012

 

Matteo Renzi presidente. Ecco!


Il problema è che si è speso più inchiostro per spiegare la fenomenologia di Belen, che non quella di marcello dell’utri, mafioso, senatore della Repubblica Italiana. Altro problema è che come guardoni maniaci si passa più tempo a leggere o ascoltare le intercettazioni delle troiette dell’orgettina che non ad imparare i fatti di una storia difficile da digerire, quella per esempio, che narra le gesta del cassiere di Totò Riina, a servizio dello Stato Italiano.

Il resto sono i numeri della miseria, sparati senza enfasi dagli istituti di statistica, che raccontano quello che è sotto gli occhi di tutti, ma che tutti tendiamo a non guardare: la metà dei vecchi non ce la fa a campare con meno di mille euro al mese. L’OCSE dice che in Italia ci sono i salari più bassi di tutta la zona Euro, e che siamo alla fame.

In realtà, le rivelazioni son fatti notori: basti pensare al fatto che ormai siamo visti come patria nella quale de localizzare; Ikea, per esempio, pensa di lasciare la Croazia, e venire a costruire le cucine qua, da noi. Non perché siamo bravi, ma perché non ci sarebbe da stupirci se domani ci ritrovassimo a fare i camerieri in Bangladesh.

Per fortuna che quando ci assalgono questi pensieri, abbiamo pronto in tasca l’antidoto: “è la crisi”. Il nostro mantra.

Poi, finalmente, dopo che tutto il peggio dello schifo italiano è venuto a galla, è ora della presa di coscienza: la politica fa mea culpa e corre ai ripari. Niente legge elettorale, ovviamente. Nessun atto di responsabilità quali dimettersi o costituirsi all’autorità giudiziaria: “Bisogna cambiar nome ai partiti.” Così pensano a destra, mica cazzi!

Dall’altra parte (io non oso chiamarla sinistra) c’è di meglio: facce nuove che sappiano rassicurare l’elettorato: Matteo Renzi candidato Premier. E se questo non fosse abbastanza ridicolo, c’è da aggiungere che l’imbecille s’è pure schernito: “Accetto solo se cambia la legge elettorale.”

Sappiamo tutto, forse sappiamo anche di più di quanto sia lecito sapere e digerire, ma non basta. Avanza l’antipolitica, con i nuovi paladini e le nuove battaglie da combattere, con sempre più consensi da parte di chi si è stanco e disilluso. Lo stesso che non riesce a comprendere quanto la non politica sia una creatura fortemente voluta dalla mafia di stato, inventata – guarda caso – da quel tizio di cui sopra – quello maiale e impotente – e dal suo socio indissolubile: marcello dell’utri, il mafioso.  

Dicono che prima o poi qualcosa accadrà. Dicono che prima o poi ci sveglieremo. Poi torneremo a letto per dormire ancora un po’.

Rita Pani (APOLIDE)

4.24.2012

 

Difficile la vita del legaiolo



Rita Pani (APOLIDE del sud)

 

25 Aprile


La festa del 25 Aprile la sospenderei in attesa di tornare a meritarcela. Son curiosa di sentire che si dirà dai palchi allestiti ormai in sempre meno città, espletate le formalità della posa di corone d’alloro con sindaci fasciati, seguiti da un minuscolo drappello di nostalgici sognatori.

Diranno forse che la storia ci ha insegnato? Che il sangue dei giovani eroi ci ha donato la libertà? Che ci verranno a raccontare, mentre qualcuno oserà sfidare il regime, cantando “Bella Ciao” con tutta la rabbia che ha in corpo?

Non so nemmeno se voglio stare ad ascoltare, non so più se vale la pena piangere lacrime di coccodrillo, mordendo un giorno solo con voracità, per rigettarlo il giorno dopo ancora rincretiniti e intontiti dal presente che non merita il passato.

Perché siamo capaci anche di commemorare i morti della Resistenza, la Liberazione dell’Italia dal regime fascista e poi cedere alla tentazione di sputare sulla democrazia, lasciando che nuovi Messia, e baldi condottieri ci guidino verso la terra promessa, libera dalla “Casta” e dai “Parassiti politici”. Peggio, c’è persino chi è capace di chiamarsi Partigiano, perché divulga via Internet la proposta di “Rivoluzione via Web.”

I Partigiani han fatto la guerra, e sono morti per noi. Non c’è altra storia da raccontare. Forse solo quella della vergogna da provare guardandoci intorno, comprendendo che le macerie che abbiamo lasciato accumulare in questi anni, sono più terrificanti di quelle lasciate da una guerra vera, che dava senso anche alla morte, mentre oggi si muore ugualmente di una morte che nessuno ha voglia di piangere.

Si muore per fame. Così come muore ogni donna o ogni uomo che si uccide perché non vede il futuro, perché non sa più sperare di poter mangiare domani. La fame che sappiamo di non poter saziare, ossia quella di poter tornare ad essere in vita.

Non abbiamo saputo conservare il patrimonio che ci hanno lasciato, abbiamo sperperato la democrazia, fino al punto di avere, domani, il rischio che i fascisti invadano le piazze di qualche città, per le loro contro manifestazioni, per le loro commemorazioni. E ci son luoghi dove fino all’ultimo momento si avrà il timore che questo abominio si possa compiere, con l’avvallo di quelle istituzioni che avrebbero dovuto vigilare, perché questi esseri infami non potessero più nemmeno esistere o respirare.

Buon 25 Aprile a tutti, pare che domani arrivi l’estate a distrarci dall’inverno al quale ormai rischiamo di abituarci, freddi e glaciali come siamo diventati.

Rita Pani (APOLIDE)

4.20.2012

 

La dignità della persona



È bello che il ministro dell’Interno, Cancellieri, abbia notato come sia lesivo della dignità della persona, essere imbavagliati con nastro adesivo da pacchi. È ancora più bello, che la ministro abbia riconosciuto che se pur tunisini da rimpatriare, i due uomini dello scandalo sono delle persone.
Certo, ha dovuto consultare i manuali di procedura di rimpatrio per rendersi conto che la norma disumana non era né prevista, né tantomeno autorizzata.
Mi vengono in mente altre foto, quelle per esempio delle truppe americane democratizzanti, che posano accanto ai cadaveri delle vittime afghane. Un po’ come Re Juan Carlos e gli elefanti; ma almeno il Re, conscio d’aver offeso la dignità dei pachidermi, si è sentito in dovere di chiedere scusa al suo popolo, nonostante la giustizia divina fosse già intervenuta procurandogli la frattura dell’anca.
Ma va tutto bene, d’altronde noi abbiamo la fortuna di appartenere a quella porzione di mondo occidentale, assai evoluto, avanti nel futuro rispetto a tutto il resto. A noi la dignità della persona è cara, ne abbiamo cura. Ci facciamo sopra le guerre per darne anche a chi non ne ha.
Per portare la democrazia in Libia, abbiamo dovuto pressare i governi colonizzatori, che non ci volevano intorno. La nostra presenza in Libia, l’abbiamo pretesa, nonostante Gheddafi fosse un caro amico a cui abbiamo dato fabbriche, banche e danari, pur di riprendersi indietro gli animali che si traghettavano a Lampedusa. Animali, perché a vederli così, cadaveri rinsecchiti nel deserto nel quale venivano abbandonati, non somigliavano molto alle persone proprietarie di quella dignità da salvaguardare. E alla fine, sempre ligi alla salvaguardia di quella dignità, abbiamo sterminato un’intera famiglia, visto i filmati del macello in TV o su Youtube (con l’avviso che le immagini avrebbero potuto disturbare gli animi troppo sensibili), e poi venduto o acquistato i cimeli zuppi di sangue su Ebay.
Il mondo non è nuovo al disgusto per la lesione della dignità della persona. Mi ricordo l’impiccagione di Saddam Hussein, un altro mostro che andava eliminato, ripresa con i cellulari di ultima generazione, e caricato direttamente sul web. Si sentì anche il rumore dell’aprirsi della botola, proprio come nei film quelli che descrivono la barbarie dei secoli passati: quando non eravamo evoluti.
Sì, l’Italia fa parte di quel meraviglioso mondo occidentale, impegnato a civilizzare i poveracci degli altri mondi. C’è persino chi ne va fiero e orgoglioso, santificando ogni eroe che ci torna indietro dentro quattro assi di legno. Per esempio i marò che in India hanno ucciso i pescatori. Grazie alla meritoria opera del nostro ministro degli esteri, siamo riusciti a garantire una carcerazione umana, sebbene non si comprenda ancora come sia possibile la pretesa dell’India di processare i due per omicidio: in fondo, erano là per proteggere il petrolio dall’assalto dei pirati, mica in vacanza! È proprio vero, fai del bene e vai in galera.
La dignità della persona. È una lotta alla quale partecipo volentieri, e visto che il ministro Cancellieri si è mostrata così sensibile all’argomento, magari le si potrebbe chiedere di rivedere la storia della polizia italiana, da quando il fascismo ne ha favorito l’imbarbarimento. Il ministro potrebbe rivedere i fatti della scuola Diaz, o farci sapere che ne sarà dei barbari assassini di Federico Aldovrandi, Stefano Cucchi, Niki Aprile Gatti, e tutte le altre dignità offese in questo paese che ci fa vergogna.
(Mi dispiace per tutti coloro, ammazzati dallo stato, che non ho nominato. Ma son tutti qua, in queste poche righe)
Rita Pani (APOLIDE)

4.18.2012

 

Il comico genovese


“Il comico genovese, durante il suo comizio spettacolo …” poi il politologo in studio aggiunge: “ Bisogna considerare che Grillo dice anche cose giuste, e che potrebbe rappresentare alle prossime elezioni, il 7 % dell’elettorato.” Il comico genovese?
Luttazzi le cose le diceva tutte giuste, e mi fa ridere molto di più. Quasi, quasi … Anche se, pure Crozza, volendo …

Uno dei ministri l’altra sera dichiarava che non bastava dire che per salvare l’Italia ci voleva un’ideona. Ce ne volevano molte di più, di ideone. Ideona? L’ha avuta subito borghezio: vendiamo la Sicilia e la Campania, magari anche Napoli e la Sardegna. Un’ideona. Un tentativo per far scordare ai legaioli tutta la merda che c’è: merda di oro e diamanti, che i soldi ormai, non valgono più.

“Sarebbe una tragedia abrogare il finanziamento pubblico dei partiti. La politica finirebbe in mano delle lobby e farebbe politica solo chi ha più danaro”. Questo però me lo ha scritto uno che dice di essere un compagno. Teoricamente non sarebbe nemmeno sbagliato, se non fosse che in Italia non si fa politica, e che quella cosa che vorrebbero farci credere lo sia, è già in mano alle lobby e ai berluscones, imballati di danaro di dubbia provenienza, così tanto da poterne elargire a milionate per corrompere giudici, istituzioni, e persino avide puttanelle.

È morto un ragazzo di 25 anni, mentre giocava a pallone. Pare sia stata un’anomalia genetica ad ucciderlo. Migliaia di tifosi in pellegrinaggio allo stadio di Livorno, dove giocava il piccolo e sfigatissimo eroe. Da giorni la storia della sua famiglia sterminata rimbalza di schermo in schermo, di giornale in giornale, tanto che le lacrime e la commozione paiono poter squagliare anche l’inchiostro. È rimasta una sorella disabile, per la quale il mondo del calcio pare essersi mobilitato. Il dubbio che queste giovani vite siano in mano di capitalisti criminali e senza scrupoli non è emerso, nemmeno è stato sussurrato. A nessuno – vedendo che ormai fare sport uccide come il DDT le cavallette – è venuto in mente che siano trattati come macchine di una catena di montaggio che deve aumentare la produzione, per ripagare il capitale investito. La gente si commuove. La gente ha bisogno di piangere l’altrui per scordare la propria miseria.

È morta una ragazza di 28 anni, che aveva capito che la sua laurea, e la sua fatica, non sarebbero servite a nulla. Lucia, il 4 aprile scorso s’è gettata dal balcone della sua casa a Catanzaro. Morta di strage al pari del giocatore. Morta per mano dei capitalisti senza scrupoli, dei padroni e dei falsi politici, che dall’inizio dell’anno hanno compiuto una strage che non avrà vendetta. Nessun pellegrinaggio sotto casa sua, e nemmeno la televisione ventiquattro ore su ventiquattro. Una volta, anche su queste pagine, si contavano i morti di lavoro. Superammo i mille in un anno: una vergogna. Ora al contrario contiamo i morti uccisi dalla disoccupazione, dalla criminalità di uno stato asservito alle banche, dall’illusione dei tanti che guardano ai nuovi messia antipolitici che riempiono le teste vuote di frasi fatte e di stereotipi facili da ricordare, che inducano a non pensare.
Un suicidio al giorno, in questa Italia miserabile, per la disperazione di non essere più abili ala vita. Per essere stati messi in condizione di non poter vivere.

“Il comico genovese, ha detto durante il suo ultimo comizio spettacolo …”

La percezione della realtà è assai lontana. Purtroppo.

Rita Pani (APOLIDE)



4.16.2012

 

Il tempo ultimo


Ora è il tempo ultimo. Come se sapessimo che quel treno che sta per arrivare è la nostra ultima occasione. Che peccato il silenzio in questi giorni, nei quali le voci che si accavallavano anche all’estero, erano sempre le solite, quelle di coloro che ci hanno portato fino a qui, fino alla stesura dell’ultimo capitolo di questa ridicola farsa, di ladri e di saghe, di sacre famiglie, mafiose oppure no. Di tutte le voci, una ne eleggo ad emblema dell’assurdo che stiamo vivendo, ed è quella di scajola. Ha avuto l’ardire di esigere un colpo di reni, perché finalmente di rimetta ordine nel sistema del finanziamento ai partiti. Ma forse non si tratta di coraggio, forse è solo un rigurgito di arroganza di chi è certo che qualunque bestialità, qualunque bestemmia si possa vomitare in questo paese devastato, resterà impunita. Il giornalista che lo ascoltava non lo ha preso a schiaffi, nemmeno gli ha sputato in faccia. Si è limitato a riprodurre, amplificare e divulgare la bestialità, con un poco di reverenziale rispetto quanto bastava perché a nessuno venisse in mente di dubitare della “propria” sanità mentale.

Il tempo è ultimo. Sarebbe questo il nostro di comprendere per poter esigere. Il tempo per fare ritorno ad una vita “normale” fatta di cose “normali”, quelle cose che abbiamo scordato caduti nel vortice surreale fatto di slogan e tette, mignotte e mafiosi, debosciati e ladri, leghisti. Potremmo finalmente unire i fili degli accadimenti in questa storia recente e vissuta, e riordinare con logica e raziocinio i nostri destini; riprenderci il rispetto che meritiamo, e la nostra dignità. Curare il cancro che tutto si è mangiato. La cosa più normale, che ci manca è la politica, e fino a quando non avremo ripristinato quella, tutto resterà ancora così.

Cadere nel tranello di pensare che “tutto uguale”, che “la politica è tutta una merda” è l’errore più grande nel quale purtroppo in tanti son caduti. Con un po’ di attenzione, e forse anche con un po’ di “senno di poi”, ora dovrebbe essere chiaro a tutti che gli ultimi dieci anni in Italia, non vi è stato alcun atto politico, alcuna discussione politica, nessun movimento politico, e quasi nessun partito politico. Negli ultimi dieci anni, la politica è stata congelata, scambiata colpevolmente con le gesta di un grumo di criminali, affaristi, mafiosi, ed apprendisti stregoni, che dopo aver compreso quanto fosse facile rubare il pollo, si son portati a casa tutta la stia.

Non si tratta più di andare alle urne ed accontentarsi di votare il meno peggio, quello che ha un po’ meno rogna degli altri, ma non si sa bene con quanti rognosi esso sia venuto a contatto e quale sia il suo grado di contagio; si tratta di riprendere in mano le sorti del paese attraverso la politica. C’è bisogno di smettere di credere nel vangelo berlusconiano che ha degenerato il pensiero e il senso della politica, C’è bisogno di fare e di pensare. C’è bisogno di un partito politico di massa che possa tenere uniti i bisogni delle persone (e non a caso non dico gente, termine anch’esso ormai svuotato dal suo senso).

Dobbiamo spezzare gli schemi imposti da vent’anni di propaganda mafiosa berlusconista, che ha insegnato a desiderare il danaro, che ci ha reso schiavi del danaro che anche quando non c’era bisognava inventarselo, rincorrerlo, rubarlo perché l’importante era averlo e non guadagnarlo. È provato ormai che il teorema secondo il quale “un deputato doveva essere ben pagato perché non cadesse in tentazione” era un alibi ben costruito e di fatto una stronzata. Per avere dei deputati che non rubano, in Italia, bisogna rieducare al lavoro. Il deputato deve essere visto come un lavoratore al nostro servizio, pagato con un contratto a progetto, che vada a scadenza quando il suo compito è finito. Pagato quanto si paga un impiegato che svolge il suo lavoro di concetto. Non è un attore, non un calciatore, non un mostro creato in un laboratorio televisivo al quale tutto è perdonato perché ci aiuta a scordare la miseria.
  
Per riavere in mano le sorti del paese, bisogna educare le generazioni future, che dovranno svolgere il compito che ora spetta a noi. Non è vero – ed è palese – che per risolvere la crisi si debba tagliare sulla vita nostra, ma al contrario bisogna investire. Nella scuola che deve insegnare sempre di più e meglio, nel lavoro che deve renderci autonomi, in grado di finanziare i servizi dello stato a cui tutti dovremmo avere accesso. Investire nella cultura capace di cancellare la barbarie inflitta dalle televisioni di regime, macchine mostruose capaci di succhiare via il cervello fin dalle più tenere età.

La crisi si risolve mettendo un freno all’arricchimento dei potenti, dei grandi mangiatori, dei ladri del potentato che per potersi arricchire ancora di più e con meno fatica, la crisi l’hanno inventata. Anche questo è palese, visto che fino ad oggi per quanto lo sperpero dei soldi pubblici sia sempre emerso, mai è stato né punito né il danaro recuperato. Chi ha rubato prima ancora di pagare con la carcerazione, deve rifondere il nostro danaro nelle nostre casse. Occuparsi della cosa pubblica, deve essere un compito che si assolve con religiosità. Rubare persino una penna, deve essere vissuto come un’aberrazione, come uno scandalo. Non è facile, in un paese in cui alla fine, persino la pedofilia di un vecchio maiale, è stato vissuto come un gesto meritorio, da ammirare se non da emulare.

Le nostre energie non devono più essere sprecate dietro al movimentismo annichilente dei grilli e dei “civili” che finiscono per apparire servi del sistema, che rompono ma non costruiscono, che hanno garantito al berlusconismo di arrivare laddove voleva arrivare, cioè a depauperare il senso politico di un popolo da schiacciare. Le nostre energie devono essere spese per tornare ad occuparsi della cosa pubblica sapendo che pubblico è anche mio, e che per questo è nostro dovere, se non obbligo almeno morale, di vigilare.

La crisi si risolve ridando dignità al lavoro, e al lavoratore. Investendo perché tutti si possa vivere del proprio lavoro, e spendere consapevolmente grazie alla propria fatica. Si deve ridare senso alla fatica stessa, in modo tale che tutti si sia disposti a sudare e faticare, sapendo che grazie alla stanchezza si potrà avere l’attimo di riposo. La schiavitù non può e non deve essere tollerata in un’epoca in cui si guarda a Marte, in cui si inventano lozioni per mantenere la pelle giovane, il pene eretto, ma non si cura una malattia rara. La persona deve essere centrale, perché la persona possa contribuire al “normale funzionamento” dello stato.

Esigiamo questo impossibile. Possiamo farlo. Nessuno più deve credere di essere intoccabile, nessuno più deve imporci un nome da delegare a rubare, nessuno più dovrà mancarci di rispetto. Nessuno – statista o imprenditore – banchiere o mafioso – presidente o sicario – dovrà sentirsi sicuro di poterci sputare in faccia la propria arroganza. Noi siamo quelli che abbiamo (oddio io proprio no) i nostri pochi soldi nelle banche, noi siamo quelli che apriamo i cancelli, noi siamo quelli che guidano gli autobus, noi siamo quelli che insegnano (poco e male) ai nostri figli, noi siamo i genitori dei figli costretti a viverci lontani. Noi siamo quelli disperati che dovrebbero fare patrimonio della loro disperazione. Ed avere quell’impossibile che faccia indietreggiare il nemico, farlo ritirare.

Potere al popolo. Questo si può. Potere a un popolo che almeno, dopo questo tempo, e l’oltraggio inflitto a chi per la nostra libertà, per i nostri diritti, e per le nostre certezze diede la vita, sia riuscito a comprendere, a diventare consapevole. Potere a un popolo capace almeno di dire basta.

Cacciamoli. Senza sé e senza ma. Scriviamola noi la legge elettorale. Imponiamola. Riprendiamoci lo stato, e la nostra dignità. Non c’è bisogno nemmeno di uccidere.

Rita Pani (APOLIDE)

4.14.2012

 

Tutto in macerie


Non ricordo chi disse che eliminare berlusconi sarebbe stato facile, ma difficile eliminare il berlusconismo. Chiunque fosse, aveva ragione.

La mezzanotte è passata, non ho tolto il post sull’ossimoro dei fascisti libertari, né mi sono scusata con un fascista, né tanto meno intendo farlo da qui al prossimo millennio. Ma tant’è, non c’è gioia e non c’è sorriso. Molta pena e desolazione accorgendomi che in fondo non mi ero sbagliata di tanto. Un tale, a commento, ieri ha scritto che la colpa del procrastinare del “berlusconismo” era la nostra; di chi ancora ne parla anche ora che “non è più presidente”, facendo sì che esso resti “vivo” nell’immaginario collettivo.

Credo che se un giorno si volesse cambiare la Capitale d’Italia, la scelta giusta sarebbe L’Aquila. È la città che meglio di tutte potrebbe rappresentarci. Il nostro emblema. Una città sulla quale ancora è possibile calpestare le macerie dello sconquasso subito, difficile da ricostruire, abbandonata a sé stessa, posta nelle singole mani delle persone di buona volontà che nulla possono contro il sistema che vorrebbe ancora demolire, ancora lasciare tutto così com’è. Dimenticare, o fingere di vivere una vita normale chiusa dentro case di cartone che non reggono l’acqua che piove.

L’Italia, come l’Aquila, derisa da chi si frega le mani goloso del bottino che potrà arraffare, non curante delle vite mietute all’improvviso, dal terremoto o dalla crisi. Morti e dimenticati, a volte scientemente ignorati per non urtare il quieto vivere di chi nemmeno si accorge di non aver più una vita, di averla ipotecata e ceduta a terzi, che non gliela renderanno mai. La vita è una, e anche questo tendiamo a scordare.

L’Italia è un cumulo di macerie sul quale continuano a volteggiare gli avvoltoi. Sempre loro e sempre gli stessi, con i loro problemi e le loro urgenze: cambiare le leggi per facilitare le loro esistenze, sia di gruppo che singolarmente. Una legge per non finire in galera, una legge per non perdere i danari (i nostri) una legge per favorire i padroni, e la terra continua a tremare, portandosi via la vita degli schiavi sfruttati, dei piccoli imprenditori depredati, dei lavoratori dimenticati nel limbo dell’esodo verso la pensione, che non arriverà mai.

Pensavo a L’Aquila, dopo aver sentito discutere sulla tassa da porre per poter finanziare la protezione civile, e molte cose sono riaffiorate alla mente. Per esempio gli appartamenti di bertolaso, le sue ruberie, il silenzio che gli si è fatto intorno. Gli appalti truccati per la ricostruzione tarocca, i finanziamenti avuti da stati esteri per la ricostruzione dei pezzi di storia demoliti dalle scosse, e mai arrivati nelle casse dei comuni. I soldi inviati da certe sottoscrizioni, di cui è difficile tenere traccia.

Questo sono le macerie d’Italia, lasciate da berlusconi e dal suo sistema, da bertolaso e dai loro complici, dalle associazioni a delinquere che in prima persona, ora, dovrebbero col maltolto finanziare la protezione civile italiana, che dovrà essere riformata con decreto legge dei professori.

A L’Aquila poi ci fu il comitato delle carriole. Cittadini inermi che sfidavano l’esercito per riconquistare il centro storico della loro città distrutta e abbandonata. Scritto così potrebbe anche far scaturire un sorriso, invece, a pensare che è proprio così, che è storia e realtà, sfugge una lacrima.

Tutta Italia dovrebbe essere invasa da carriole, per portare e gettar via. Quest’Italia manca di troppe cose e abbonda di troppe macerie.

Rita Pani (APOLIDE) 

4.13.2012

 

Fascisti libertari

I fascisti libertari minacciano di denunciarmi, se entro la mezzanotte non toglierò il precedente post, o chiederò scusa al fascista candidato in Puglia.

Ho sempre sognato di vedere un fascista di merda in tribunale.

:)
Rita Pani (APOLIDE COMUNISTA)

 

I frutti del male



Chi semina vento, raccoglie tempesta”

C’è un ventenne che si è candidato a sindaco di un piccolo centro pugliese, con la lista “fascismo e libertà”. Il simbolo su cui apporre la propria preferenza (in caso si sia portatori di deficit mentale) è un fascio littorio, presente anche sui manifesti affissi per propaganda elettorale, e che nonostante siano intervenuti gli organi competenti, stanno ancora là sui muri a fare bella mostra del ridicolo ossimoro.

Certo, noi che abbiamo ancora il ben dell’intelletto, sappiamo bene che l’apologia di fascismo è un reato, e che è proibito dalla Costituzione … etc, etc; ma sappiamo anche quanto poco valore possa avere la legge in un paese come il nostro, dove “scripta manent ma scolorina docet”.

Viene facile concludere la questione affibbiando al ventenne la meritata qualifica del testa di cazzo, ma purtroppo temo sia peggio di così. Vent’anni sono una vita, sono troppi per essere cancellati con un colpo di cimosa. Vent’anni di berlusconismo hanno seminato abbastanza vento, perché oggi si inizi a raccogliere la tempesta.

La responsabilità del singolo inizia ad affiorare dalla melma, a galleggiare. I mefitici effluvi della storia recente intasano le nostre narici, e per quanto ci si sia anestetizzati, abituati alla puzza, dovremmo avere il coraggio, almeno, di assumerci la responsabilità – chi la ha – di aver per troppo tempo guardato altrove, mentre scientemente la nostra cultura, più che il nostro stato, veniva demolita.

Un ventenne ha studiato la storia sotto egida morattiana, la moglie del pallone, la moglie e la cognata degli assassini della Saras, la mamma di Batman, la sindaco di Milano che non andava al Comune ma presenziava quando doveva, per gli affari suoi o dei suoi sodali. La bestia che fu  il ministro alla pubblica istruzione, che iniziò a dare la stura alla rivisitazione della storia in senso surrealistico, che avvallò la riscrittura di un testo di storia della scuola media, in cui si narrava che “i fascisti erano delle brave persone, perché essendo già ricchi non avevano bisogno di rubare.”

Giuseppe Lassandro (questo il nome del ventenne deficiente) è una testa di cazzo, ma una testa di cazzo a sua insaputa. Uno dei frutti che stiamo raccogliendo, una vittima probabilmente inconsapevole della demolizione del sistema scolastico italiano.

Noi, che veniamo da un’altra generazione, quella che la storia l’ha vissuta sulla pelle dei propri nonni o dei propri genitori, avevamo l’obbligo e il dovere morale di vigilare, affinché questo non accadesse. Molti di noi per questo si sono spesi – lo rivendico – ma evidentemente non siamo stati abbastanza. Ora possiamo perseverare o stare a guardare, in attesa di altre mietiture delle ventennali semine ormai sbocciate. In effetti, a guardar bene, stiamo già in attesa, assistendo pressoché muti o attoniti agli accadimenti degli ultimi giorni, in cui si palesano corruzione e ruberie, mafiosità e illegalità, la cancellazione dei diritti e di fatto della democrazia.

Scelgo di perseverare, con la speranza di essere utile in qualche modo al recupero delle facoltà cognitive di un povero demente, rincoglionito anzitempo dal regime berlusconista e barbaro dell’ultimo ventennio: fascismo e libertà è la sintesi dell’idiozia. Preferisco ricordarmi il fascismo così come si concluse, con la feccia appesa a testa in giù a Piazzale Loreto. È quello l’emblema della libertà che avremmo potuto vivere dopo il fascismo.

Il prossimo frutto, magari, lo coglieremo quando ci sentiremo dire che i comunisti non possono essere vegetariano, perché mangiano i bambini … e noi rideremo, perché piangere è fatica.

Rita Pani (APOLIDE)

4.12.2012

 

Troppo presto per capire


Dobbiamo ancora attendere, forse un tale che le cose ce le spieghi in aramaico, perché così semplici come sono non riusciamo a comprenderle.

La cosa strana è che all’interno delle nostre mura, chiacchierando tra noi, siamo tutti d’accordo, tutti abbiamo chiara la situazione, eppure non accade nulla che preveda qualcosa in più di firmare l’appello per presentare istanze fasulle attraverso organismi virtuali, come petizione.org o firmiamo.it.

Ora poi, che siamo indignatissimi per le gesta dei predoni leghisti, riusciamo a sperare anche che si estinguano, che spariscano dalla nostra vita come fu per i craxiani. E tanto ci basta ad avere un nuovo sogno da sognare, foraggiato dalle belle notizie che ci consegnano i giornali. Per esempio pare che sia stato trovato l’accordo per “vigilare” meglio sui danari dei “rimborsi” ai partiti. No. Nemmeno per un momento è stata presa in considerazione l’idea di chiudere i rubinetti in questo periodo di siccità. Nemmeno per un attimo si è pensato che sarebbe stato giusto far rifondere il danno provocato allo stato (a noi), dopo anni e anni di razzia. La giustizia sociale, in Italia non è contemplata.

Non mi fanno orrore le cronache simpatiche di una congrega di predoni padani, che sembrano molto più italiani degli stessi italiani. Non avevo bisogno di leggere le telefonate di una combriccola di ladri, che oggi elegge a capo della banda quello che fino a ieri faceva il palo. Mi indigna assai di più leggere di una catena di supermercati che si è inventata il lavoro domenicale per quei giovani a cui andava il vibrante appello del Presidente della Repubblica. Un nuovo modello di part time, nel sistema lavoro da ripensare in nome della crisi, che lascia a casa il dipendente sottopagato un giorno alla settimana, e lo fa sostituire da uno ancora meno pagato. Una nuova forma di schiavitù che non fa gridare allo scandalo, ma che diventa “boom” in meno di una settimana, confermando l’abitudine ormai consolidata di abbassarsi i pantaloni e piegarsi per favorire la sodomia.

Della scopa propagandistica esibita dal palo della banda, che ha fatto carriera e bacia sulla guancia il capo derelitto, mi fa assai più orrore che il Senato italiano, entro il due maggio prossimo, terminerà i lavori per il nuovo ddl sul lavoro (la vita nostra), concludendo in questi giorni le audizioni dei sindacati italiani. È prevista l’audizione del Sin. Pa – l’inesistente sindacato padano di Rosi Mauro – ma non è prevista l’audizione della FIOM – unico sindacato italiano non solo esistente, ma che ha ancora un senso.

Se solo sapessi scrivere in aramaico …

Rita Pani (APOLIDE)

4.10.2012

 

Orgoglio di merda


Sarà pure la serata del vostro orgoglio, legaioli, ma è un orgoglio di merda. Così ha fatto maroni: ha preso in mano una palletta di merda e l’ha rimpastata, tentando di far uscire un fiore. Merda era e merda rimane, del vostro cerchio magico del vostro sognar da barbari e del vostro orgoglio.

Vi fa saltare ai ritmi da stadio e ancora promette, di meritocrazia, di soldi padani ai padani. Di largo ai giovani. E voi saltate così come corrono i criceti dentro la ruota. Perché vi hanno ammaestrato, perché vi sono bastate le aiuole fiorite, le camicie verdi, il fazzolettino nella tasca e la caccia ai negri che vi reggono in piedi, lavorando da schiavi, sfruttati di giorno e cacciati di notte.

Patetici, pagati per inneggiare a bossi, come se non fosse il padre del figlio scemo che ha, e che alla fine si è dimostrato assai più intelligente di tutti voi.

Se solo foste in grado di scendere dalla ruota di plastica dentro la gabbia che vi hanno costruito intorno, pensereste per un attimo a quel che ha detto ieri: “mio figlio da qualche mese mi diceva che in Regione non si trovava.” Voi legaioli che avete figli disoccupati, o sottopagati, sfruttati dai padroni padani in padania, avreste potuto provare anche voi, il benefico influsso dell’orgoglio vero. L’orgoglio che vi avrebbe dovuto spingere a cacciarli a calci nel culo. Come spesso vi hanno esortato a fare ai negri che sfruttate.

I vostri giovani, come tutti i giovani italiani, si impegna nello studio, si impegna a crescere, si impegna per tentare di avere un futuro, sapendo che non lo avrà, mentre un idiota, una testa di cazzo inutile, poteva anche “non trovarsi” col culo al caldo, a guadagnare una decina di migliaia di euro al mese, più i benefit della razzia dei soldi pubblici.

È proprio un orgoglio di merda, il vostro. Un orgoglio che vi hanno insegnato, ma ve lo hanno insegnato sbagliato. Roma ladrona, vi hanno insegnato, mentre rubavano anche 50 euro alla stregua di borseggiatori, scippatori, ladruncoli o criminali comuni. Qual è l’orgoglio che rivendicate oggi? Quello del vostro capo supremo, che proprio come craxi o il suo ultimo complice il tizio assai più delinquente di voi, grida al complotto, al giudice comunista, e alle classiche boiate che per anni ci hanno frantumato l’anima?

Vedo ora quell’essere amorfo del capo dei barbari sognanti con una scopa in mano, per fare pulizia. Mi viene da ridere, perché se è di questo che è fatto il vostro orgoglio, allora è assai peggio della merda. Le vostre urla, davanti ad una farsa patetica come chi la rappresenta sono un oltraggio verso il genere umano pensante.

Sì, se è questo il vostro orgoglio, allora vi auguro ancora tanta padania. Non vi è ancora bastato.

Rita Pani (APOLIDE del sud)


4.08.2012

 

Dite a bossi che son tornata


Avevo appena lasciato mia figlia che era diventata sposa, e passeggiavo per le vie di una Londra bella e piena di gente, quando ho colto un linguaggio a me familiare che diceva così: “ Hai sentito? bossi si è dimesso!”

Ho sorriso, immaginando che le dimissioni fossero simili a quelle del suo sodale, che per essere ligio alla legge contro “il conflitto di interessi”, lasciò col cuore gonfio di dolore la carica di presidente del Milan. Non mi sbagliavo; quel che resta di un ladro si era dimesso solo dalla carica di segretario della lega, o della più romantica congrega del “cerchio magico”.

Ho riso a crepapelle, ricordando le dichiarazioni di una legaiola, che qualche giorno fa, commentando un mio “status” di Facebook, scriveva le solite perle di saggezza padana, grondanti razzismo idiota verso noi, gente del sud. Avrei voluto vederne la faccia.

Fatto sta che la saga del “cerchio magico e dei barbari sognanti”, rischia di veder scritta la parola fine troppo presto, rispetto a tutto il tempo che merita vendetta. Non solo per voi che sempre con pazienza mi leggete, ma questa volta più per me stessa, che sento di dovermelo.

Son troppo stanca ora che scrivo, ho appena chiuso la porta di casa, con la fatica nei piedi, le emozioni nel cuore, e la serenità di bei giorni trascorsi con la migliore delle compagnie per perdermi il piacere di sputare tutto il veleno che ho accumulato in questo ventennio di invasione barbarica, di leghe di ladri, di mafiosi bastardi, di ladri di polli ingordi che non hanno saputo accontentarsi del privilegio. Che finito il bottino si son portati via anche la cassaforte vuota.

Sono tornata.

Rita Pani (APOLIDE)

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