3.26.2012
La pioggia di scolorina
È vero
che è labile il confine tra genio e follia. Me lo dico tutte le mattine quando
leggo i giornali, e sorrido pensando a quanto idiota sia questo nostro piccolo
paese in disarmo. Quanto è grave il solco che segna la distanza tra noi e la
civiltà, tra noi e la realtà.
Fibrilla
il microcosmo del potere dopo che son state rese note le dichiarazioni
informali del Presidente della Repubblica, che ha annunciato di non voler
replicare la sua esperienza istituzionale. È lodevole, che un uomo più vecchio
che anziano, voglia passeggiare gli ultimi sprazzi di vita con la dovuta
serenità, dopo aver – nel bene e nel male – lavorato con impegno e dedizione
restando lontano dal sospetto che almeno meritasse un breve soggiorno in una
patria galera. Oggi come oggi, in vero non so sa se in politica non essere
stato mai inquisito o sospettato sia un merito o una pecca, ma tant’è! Dice di
più Napolitano: sottovoce auspica l’arrivo di una donna al Quirinale. Lo
scrivono i giornali e a noi verrebbe da dire: ma sì, perché no? Lo hanno detto
in molti, tanto che pare che il tizio abbia già ordinato una protesi per il
seno sesta coppa D, e una liposuzione.
Perché
in fondo, questo è parte di quel solco, di quel segno che ci distingue dal
resto del mondo, e che ci accomuna all’Africa più nera dei Bokassa e delle
dinastie dei mangiatori di carne umana, che comunque almeno in Africa, sembrano
essere destinate all’estinzione. In Africa però.
In
un mondo “normale”, il toto nomi – come scrivono i giornalai – nemmeno per un
attimo avrebbe annoverato silvio berlusconi, tra i papabili alla carica. In un
paese mediamente civile, il silenzio che si è fatto intorno alla ridicola
figura di quel criminale sbruffone, sarebbe stato un silenzio di comodo, come
quando si nasconde la mano, fischiettando, dopo aver tirato la pietra. In
Italia invece no! In Italia quel silenzio è rigenerativo. Ricostruisce la
figura politica di un debosciato malavitoso, le cui gesta noi ben conosciamo;
il silenzio è come una pioggia di scolorina che cade lenta e silente su tutto
quello che gira intorno al tizio, tra mafia e potere, tra eversione e malavita,
tra deboscia e arroganza fascista. Nessuno quasi lo nomina più, nuovi nemici si
offrono in sacrificio al popolo, in modo che si possa arrivare al rimpianto del
“si stava meglio quando si stava peggio”, così che alla fine lui possa vincere
il premio che si era prefissato quando incominciò a smantellare la nostre
democrazia. Una casa migliore di quella acquistata sul lago, per pagare il
silenzio mafioso di dell’utri, meglio di quella a sua insaputa di scajola,
meglio di quella che previti, per suo contò rubò all’erede Casati Stampa: Il
Quirinale, la villa dei re.
Solo
in Italia è possibile scrivere – senza essere né derisi né uccisi – che tra i
nomi eccellenti candidati per tenere le redini di una Repubblica democratica,
ce ne sia uno che dovrebbe essere scritto a caratteri cubitali nel registro di
una galera, una qualsiasi con le pareti scrostate e il sovraffollamento. Una di
quelle in cui è possibile fare una doccia una volta al mese e con l’acqua
fredda. Una di quelle galere in cui d’inverno l’umidità ti mangia le ossa, e d’estate
viene difficile respirare. È possibile parlarne proprio come se fosse una cosa
seria, come se fosse normale immaginare un salone del palazzo, ricco di arte,
di ori e di arazzi, ristrutturato come un casino con i divanetti damascati o un
night club vintage anni 70 con gli specchi per terra e i pali della lap-dance.
Non
c’è vergogna perché non c’è memoria. Non c’è memoria perché non c’è più chi
legge la storia, o chi la sa leggere tra le righe delle baggianate che ci
vengono raccontate. Un paese serio, che pretende sacrifici, che ci suicida, che
ci lascia esausti non può e non dovrebbe nemmeno per scherzo prendere in
considerazione l’idea di resuscitare quella figura nefasta e disgustosa per poi
consegnargli le chiavi del palazzo, e soprattutto dovrebbe riprendere a cuore
le sorti di questa nazione devastata al pari di una landa desolata dopo un
incidente nucleare.
Un
paese serio, appunto, non il nostro. Noi lo avremo là, circondato dalle sue
bambine, con le corazziere in perizoma, e le riunioni delle cupole, e la mafia
al tavolo del re, nel 2013, a meno che … i Maya …
Rita
Pani (APOLIDE)