3.30.2012
Gli italiani hanno capito
“E
gli italiani hanno capito che vale la pena di affrontare sacrifici rilevanti, purché
equamente distribuiti.” Mario Monti
No
Professore, gli italiani non lo hanno capito, e in realtà non hanno ben chiaro
neppure il resto della vostra meritoria opera da sicari. Nulla vi separa dai
vostri predecessori, se non il coraggio di esservi assunto il compito ultimo,
di svendere il Paese.
Non
sono un’economista, ma sono una persona che si riconosce un buon margine di
razionalità, e che a volte riesce a sentire tutto ciò che c’è di inespresso nei
vostri monologhi grotteschi, come per esempio l’ultima sua lettera al Corriere
della Sera, a metà tra il delirio e la menzognera propaganda.
Bisognerebbe
partire dalla fine, da quell’articolo 18 di fatto in disuso da anni in Italia,
sbandierato dagli operai alla stregua dell’ultimo baluardo da difendere, e
utilizzato dagli imprenditori come alibi estremo in difesa della categoria. L’articolo
18 è come un vetro rotto su una casa in vendita, che fa scendere di troppo il
prezzo pattuito. Avete l’obbligo di eliminarlo per far sì che si apra la strada
al miglior offerente, al neo colonizzatore.
Non
state ristrutturando casa per viverci meglio e in salute, lo state facendo solo
per poter aumentare il prezzo della vendita. L’economia italiana è in mano a un
grumo di potere che se la rimbalza di mano in mano, connivente di uno stato
mafioso che spartisce con pochi il bottino miliardario.
Faremo
la fine di quei paesi dell’est, dove i nostri antenati andavano con le borse
piene di collant per poter adescare le ragazze. Chi verrà a investire in
Italia, quando avrete abolito ogni diritto, non sarà certo lo svedese, lo
svizzero o l’americano, né potrà essere un imprenditore che vive in un paese
dove ci sono le leggi e son cose serie. Potremo finire in mano ai neo-russi, o
perché no ai colombiani che di corruzione ne sanno almeno quanto noi, e
lasciare che le briciole ricadano sempre sugli stessi piatti, di quelli che
fino a qualche mese fa, ancora banchettavano sulle nostre vite.
Perché
per rimettere in piedi questo stato, qualora l’intento fosse stato reale, prima
di tutto doveva garantirsi il lavoro, e non far sì che diventasse una sorta di
premio della lotteria nazionale. Come potete, in coscienza, usare termini come
equità in un paese che per campare deve aumentare il costo della benzina e
delle sigarette? Dove sta l’equità tra l’operaio costretto a rifornire di
carburante la sua auto, perché da pendolare è impossibilitato a usare i mezzi
pubblici che non funzionano o nemmeno esistono, e quello che – fanculo la crisi
– si compra un’auto ancora più potente, che tanto ha i buoni benzina a carico
dell’azienda? Esempio banale, lo so, ma pregno della vostra idiozia.
C’è
di che essere contenti nel leggere il riconoscimento dei meriti ai partiti e la
maturità del paese. Ma manca il complimento più importante, quello rivolto alle
banche (le vostre). Così attente e capaci che di fronte al sospetto che possa
sorgere un qualunque tipo di ripensamento da parte vostra – sicariato di
governo – spruzzano in aria un po’ di spread. Solo per farvi paura, e per
ricordarvi che voi, al pari di quello che governava prima, non siete che
marionette in mano loro.
Mafia,
criminalità o banche, in fondo, è tutta la stessa cosa. Tutta la stessa
montagna di merda.
Rita
Pani (APOLIDE)
3.29.2012
Debelliamo la piaga dell'onestà
Un
giorno mi sono messa di buzzo buono e ho iniziato a contare tutti gli scarti
del danaro che avevo in giro per casa, fin sopra alla lavatrice dove posavo
quelle che restavano impigliate alla guarnizione dell’oblò, dopo aver finito il
lavaggio. 9 euro e 75 centesimi. Le misi tutte in una bustina di plastica e
andai al tabacchino per comprarci un paio di pacchetti di sigarette. Dissi al
ragazzo l’importo della sporta: “Ti fidi?” Certo che si fidò; gli bastò
guardarmi in faccia.
L’onestà
è la piaga da combattere in quest’epoca fasulla.
A
Dicembre ho scritto un articolo per un giornale nazionale. A giorni mi
pagheranno: 100 euro. Quel coglione di emilio fede è arrivato in Svizzera con
una valigia piena di banconote: 2 milioni e mezzo di euro. In contanti. Quale
lavoro che lasci estenuati dalla fatica può valere tanto? Quale professione possiamo
sperare facciano i nostri figli per avere certo il futuro?
Il
ricattatore.
Perché
solo il silenzio, ormai, è merce pregiata di valore inestimabile, e io me la
figuro la trattativa: “Sai che c’è? Io le bambine imputtanite te le ho cedute,
ma tu non me le hai nemmeno lasciate masticare, che possedere ormai, col pene
avvizzito come ce l’ho non avrei potuto. Quindi mi accingo ad andare davanti ai
giudici ai quali, volendo, potrei anche raccontare, tanto son vecchio e in
galera non mi ci metteranno mai. Quanto sei disposto a pagare per il mio
silenzio?”
Ad
essere onesti questa carriera non la si potrà mai fare.
C’è
di più, che qualunque cosa fossero quei danari, l’unica pena al quale il
coglione del servo infedele, potrà essere di dover smontare il letto per
nascondere il bottino sotto il materasso. Non è previsto sequestro (quanti
disabili potrebbero essere assistiti con un fondo di due milioni e mezzo di
euro?) non è previsto nemmeno l’esproprio, né la galera. Anzi! Lo stato
spenderà ancora danaro nostro, perché l’indagine s’ha da fare.
Fine
pena mai.
Così
è detto l’ergastolo, in vero sempre meno comminato in fase di giudizio, se non
in casi eccezionali. Di delinquenza eccezionale. In due giorni, leggo stupita
(ma anche no) sui giornali, almeno due casi in cui la minaccia è grave. Si
prospetta per silvio berlusconi, il tizio le cui gesta han fatto vomitare
almeno due generazioni di italiani, e proprio quel coglione di emilio fede. Si
dice che il primo avrà da scontare la pena al Quirinale assumendo il ruolo di
Presidente della Repubblica; per il secondo, gli esperti politologi e giuristi
paventano addirittura la certificazione dell’ergastolo con un rito brevissimo,
che lo vedrà condannato alla carica di Senatore a vita.
La
gente si dà fuoco.
La
gente onesta. Quella che non è mai stata sfiorata dall’idea che se proprio devo
andare, sarebbe bello portarne molti con me. Il più possibile, i peggiori
possibili, o pescando nel mucchio che tanto di feccia ce n’è. La gente onesta
muore, e a noi non resta che quel flebile senso di colpa, per essere impotenti
e in qualche modo, ancora abili a campare.
Rita
Pani (sconfortata)
3.28.2012
Ansa, notizie, categoria Spettacolo. S P E T T A C O L O ?
Liberiamocene
Mi
piace sognare un Tribunale del popolo che, finita la guerra di liberazione, vi
prenda uno per uno e vi condanni per la strage che state impunemente,
quotidianamente, perpetrando. Riaprirei anche l’Asinara, se non fosse che ha
quel panorama stupendo che i vostri occhi non meritano.
Si
dà fuoco, s’impicca, si getta dal balcone, si toglie la vita … lo leggiamo
tutti i giorni, e tutti i giorni non mancano le vostre dotte considerazioni,
professori, quelle che peggio di una lama tagliano l’anima di chi ascolta,
incredulo, l’arroganza della vostra stupidità.
Non
sogno una giustizia sommaria, sogno davvero un processo, durante il quale io
possa stare ad ascoltare le vostre spiegazioni, le vostre aberranti logiche,
quelle che vi hanno indotto la linea ferrea da seguire, senza nulla togliervi e
senza nulla dare.
Voglio
sentirla la lezione dei professori, quella che ci spiega come sia possibile
continuare a finanziare uno stato ormai distrutto levando il pane a chi non lo
ha più. Voglio sentire la spiegazione del postulato: “Le imprese non assumono
perché non possono licenziare.” (Mario Monti)
Chi
non ha mai pensato, che il grande sogno della vita fosse quella di investire
danaro vero in un impresa per poter assumere un operaio solo per il gusto di
poterlo licenziare? Chi non sa che per produrre ci vogliono le braccia? Chi non
sa che se non lavoro non guadagno e se non guadagno non spendo?
Ma
vi è di peggio, e quelli siete voi. Voi, tutti coloro che non hanno capito in
tempo cosa avrebbe significato l’uccisione della politica, l’abrogazione della
democrazia, l’annientamento dei partiti politici e la loro trasformazione in
piccoli comitati d’affari malavitosi, criminali quando non mafiosi.
È la
fine. Lo sappiamo. Non vi è più una testa pensante, non vi è più nessuna idea,
perché le ideologie, anche quelle sono state demonizzate grazie all’abuso dei “grilli”
al servizio del potere, peggio delle puttane al servizio del re. (Noi abbiamo
la fiducia, i partiti no. Mario Monti)
Ora
quindi contiamo i morti, disperiamoci quanto basta a metter in pace la
coscienza, e subiamo l’idiozia di questi che purtroppo finiranno a testa in
giù, solo nei nostri sogni inconfessabili. Sì, perché nemmeno sognare ci è dato
più, non è politicamente corretto, non è pacifista, non è movimentista, e se ci
scappa di sognare un po’ di giustizia, dopo ci tocca anche chiedere scusa. Perché
non è bello, non sta bene, non è né educato, né di classe.
Rita
Pani (APOLIDE)
3.26.2012
La pioggia di scolorina
È vero
che è labile il confine tra genio e follia. Me lo dico tutte le mattine quando
leggo i giornali, e sorrido pensando a quanto idiota sia questo nostro piccolo
paese in disarmo. Quanto è grave il solco che segna la distanza tra noi e la
civiltà, tra noi e la realtà.
Fibrilla
il microcosmo del potere dopo che son state rese note le dichiarazioni
informali del Presidente della Repubblica, che ha annunciato di non voler
replicare la sua esperienza istituzionale. È lodevole, che un uomo più vecchio
che anziano, voglia passeggiare gli ultimi sprazzi di vita con la dovuta
serenità, dopo aver – nel bene e nel male – lavorato con impegno e dedizione
restando lontano dal sospetto che almeno meritasse un breve soggiorno in una
patria galera. Oggi come oggi, in vero non so sa se in politica non essere
stato mai inquisito o sospettato sia un merito o una pecca, ma tant’è! Dice di
più Napolitano: sottovoce auspica l’arrivo di una donna al Quirinale. Lo
scrivono i giornali e a noi verrebbe da dire: ma sì, perché no? Lo hanno detto
in molti, tanto che pare che il tizio abbia già ordinato una protesi per il
seno sesta coppa D, e una liposuzione.
Perché
in fondo, questo è parte di quel solco, di quel segno che ci distingue dal
resto del mondo, e che ci accomuna all’Africa più nera dei Bokassa e delle
dinastie dei mangiatori di carne umana, che comunque almeno in Africa, sembrano
essere destinate all’estinzione. In Africa però.
In
un mondo “normale”, il toto nomi – come scrivono i giornalai – nemmeno per un
attimo avrebbe annoverato silvio berlusconi, tra i papabili alla carica. In un
paese mediamente civile, il silenzio che si è fatto intorno alla ridicola
figura di quel criminale sbruffone, sarebbe stato un silenzio di comodo, come
quando si nasconde la mano, fischiettando, dopo aver tirato la pietra. In
Italia invece no! In Italia quel silenzio è rigenerativo. Ricostruisce la
figura politica di un debosciato malavitoso, le cui gesta noi ben conosciamo;
il silenzio è come una pioggia di scolorina che cade lenta e silente su tutto
quello che gira intorno al tizio, tra mafia e potere, tra eversione e malavita,
tra deboscia e arroganza fascista. Nessuno quasi lo nomina più, nuovi nemici si
offrono in sacrificio al popolo, in modo che si possa arrivare al rimpianto del
“si stava meglio quando si stava peggio”, così che alla fine lui possa vincere
il premio che si era prefissato quando incominciò a smantellare la nostre
democrazia. Una casa migliore di quella acquistata sul lago, per pagare il
silenzio mafioso di dell’utri, meglio di quella a sua insaputa di scajola,
meglio di quella che previti, per suo contò rubò all’erede Casati Stampa: Il
Quirinale, la villa dei re.
Solo
in Italia è possibile scrivere – senza essere né derisi né uccisi – che tra i
nomi eccellenti candidati per tenere le redini di una Repubblica democratica,
ce ne sia uno che dovrebbe essere scritto a caratteri cubitali nel registro di
una galera, una qualsiasi con le pareti scrostate e il sovraffollamento. Una di
quelle in cui è possibile fare una doccia una volta al mese e con l’acqua
fredda. Una di quelle galere in cui d’inverno l’umidità ti mangia le ossa, e d’estate
viene difficile respirare. È possibile parlarne proprio come se fosse una cosa
seria, come se fosse normale immaginare un salone del palazzo, ricco di arte,
di ori e di arazzi, ristrutturato come un casino con i divanetti damascati o un
night club vintage anni 70 con gli specchi per terra e i pali della lap-dance.
Non
c’è vergogna perché non c’è memoria. Non c’è memoria perché non c’è più chi
legge la storia, o chi la sa leggere tra le righe delle baggianate che ci
vengono raccontate. Un paese serio, che pretende sacrifici, che ci suicida, che
ci lascia esausti non può e non dovrebbe nemmeno per scherzo prendere in
considerazione l’idea di resuscitare quella figura nefasta e disgustosa per poi
consegnargli le chiavi del palazzo, e soprattutto dovrebbe riprendere a cuore
le sorti di questa nazione devastata al pari di una landa desolata dopo un
incidente nucleare.
Un
paese serio, appunto, non il nostro. Noi lo avremo là, circondato dalle sue
bambine, con le corazziere in perizoma, e le riunioni delle cupole, e la mafia
al tavolo del re, nel 2013, a meno che … i Maya …
Rita
Pani (APOLIDE)
3.24.2012
La maglietta maledetta
LA SIGNORA DELLA T-SHIRT PAOLA
FRANCIONI
«Piango per quella maledetta scritta»
«A Fornero ho scritto 3 mail di scuse E mi dispiace
anche per Diliberto»
Basta! Vi prego, fate pace col cervello. Piangere
per una scritta ironica e satirica su una maglietta? Non so chi sia questa
signora Francioni, ma le sue lacrime mi fanno schifo al pari di quelle che
versò il ministro alla sua prima uscita pubblica, con quel suo sorriso da iena
sulla faccia, con quello sguardo che da umile è diventato strafottente, appena
imparato il meccanismo e odorato il potere.
Piangere per la “maledetta scritta?” Fa il paio col
tirare la pietra e nascondere la mano, fa il paio con il poco coraggio che la
gente dimostra. Fa il paio con la codardia dilagante, di quest’epoca in cui i
deboli devono chinare la testa, o offrire il viso allo sputo dei potenti.
È inutile, non c’è più il coraggio delle proprie
azioni, non c’è più il coraggio delle parole e soprattutto si continua a
prestare il fianco al regime che impone dispute insulse, dibattiti sul nulla. Tutto
ciò che arriva a far tacere sul resto è bene accetto. Piangere per quella
maglietta giustifica tutto il peggio che subiamo ogni giorno, quando per
esempio, per cancellare le nostre preoccupazioni, arriva il saltimbanco di
turno ad offrirci diversivi intelligenti, come i gay che si possono curare, i
gay che non si possono sposare, le donne da liberare dal burqa, gli zingari che
rubano i bambini, i romeni che violentano le donne, i feti abortiti da seppellire.
Il politicamente corretto più scorretto che c’è, è
oggi il nuovo strumento di distrazione di massa, che finisce sempre per far
diventare vittime i carnefici.
Pianga per i morti già fatti e per i morti che si
faranno, signora Francioni, pianga per tutti coloro che da domani si
ritroveranno disperati in mezzo a una strada. Pianga per coloro che stanno
perdendo la casa dopo aver perso il lavoro, per le famiglie che non sanno come
far progredire i propri figli. Pianga per chiunque domani si ritroverà sotto il
sole con un piatto di spaghetti al pomodoro tra le mani, offerto da una mensa
della Caritas. Pianga per l’ultimo impiccato, vittima di questo Regime, dal
quale io, o lei, a nome di tutti, avrebbe dovuto esigere le scuse.
Rita Pani (APOLIDE)
3.23.2012
Signor Presidente del Paese delle Meraviglie
Vorrei
andare a vivere nella Repubblica di cui lei, Signor Napolitano, è Presidente. Deve
essere un posto bellissimo, a differenza di quello su cui mi arrampico io,
quotidianamente. Mi verrebbe da chiederle, cortesemente, di farmi cittadina onoraria
della Repubblica dello splendore di cui lei, tesse le lodi ogni volta,
tricolore alla mano.
“Non
ci sarà valanga di licenziamenti”, rassicura in modo vibrante questa mattina, e
il sospiro di sollievo collettivo di tutti i lavoratori preoccupati, ha fatto
sì che si percepisse il suono, il vento del sibilo che alleggerisce l’animo di
tutti noi.
Ci
saranno, signor Presidente, ci saranno eccome. Ci dovranno essere, perché la
riforma del lavoro così tanto urgente, così tanto importante, sancisce la fine
del diritto al lavoro e l’inizio dell’obbligo di schiavitù. Lo scenario che si
vede stando qua, dall’altra parte della vita, dietro le barricate fatte di
niente entro le quali ci avete confinati per non nuocere o soccombere è
diverso. Licenzieranno per assumere, per arginare i costi del lavoro. Le
imprese oggi in crisi licenzieranno i lavoratori dipendenti, per assumere
schiavi a basso costo, quelli da inserire in organico col cottimo mascherato,
quelli che non potranno rifiutare perché non è più possibile scegliere nemmeno
di conservare la dignità.
La
riforma del lavoro, che guarda caso con la sua urgenza vede la possibilità
della sopravvivenza rimandata al 2017 ma la certezza della morte, immediata, è
solo l’inizio della battaglia finale di questa guerra tra poveri che nessuno di
voi, classe dirigente, ha mai avuto il coraggio di dichiarare. È una battaglia
che presto riguarderà anche il pubblico impiego, che vedrà imporre nuovi
standard di lavoro e di lotta per la sopravvivenza.
Non
è vergognosa in sé la negazione dei diritti minimi dei lavoratori, è vergognoso
ed oltraggioso il metodo con cui avete venduto milioni di esistenze al
capitale. È oltraggiosa la vostra codardia, l’uso improprio che avete fatto
delle speranze delle nuove generazioni, lo stupro attuato verso il futuro dei
nostri figlie, e oramai anche dei nostri nipoti. Avete negato l’esistenza di
almeno due generazioni di uomini e di donne. E qua, non si tratta più di
uccidere i sogni – era solo bella letteratura – qua state uccidendo milioni di
persone. Esseri umani che si troveranno costretti, peggio di prima, al razzismo
per sopravvivenza, alla regola della mors tua.
Che
strana cosa signor Presidente! Si è fatto grande blaterando sulla sicurezza sul
lavoro, dopo che i primi passi verso la riforma producevano più cadaveri che
case e macchine, ed ora si presta a far da mediatore per i padroni. “La voce
del Colle” a metter pace tra chi finge si non essere d’accordo per rosicchiare
qualche voto alle prossime elezioni, che ogni cittadino italiano ancora in
possesso di un minimo di buon senso, dovrebbe disertare, non riconoscendo
questo stato, non avendo più nemmeno la democrazia.
Questa
riforma del lavoro, che amputa gli arti della popolazione col suo carattere d’urgenza,
va a sbattere contro le cronache che ormai non sconvolgono più, di furti e
ruberie, nepotismo e sfruttamento, di ladrocinio e corruzione. Lieviterà il
lavoro nero, si moltiplicheranno tutte quelle formule di lavoro sottopagato che
ci fa vivere tutti col cappio al collo, come bestie al giogo. Si accetterà
qualunque cosa, in nome della sopravvivenza, e soprattutto vi ringrazierà la
mafia – quella vera e non il dilettantismo che tutto sommato continua a
governarci – per la mano d’opera che aumenterà la domanda facendo scendere l’offerta.
“Investire
per i giovani”. L’altro mantra che le consigliano di inculcare in questo popolo,
che comunque si appresta a fare la fila per il nuovo iPad. Investire cosa, se
ogni anno chiudono le scuole, chiudono i musei, chiudono i teatri e le
accademie? Investire nelle Università italiane? Quelle a conduzione familiare,
con la sedia che si tramanda di padre in figlio di generazione in generazione?
Non
è più tollerabile sentirvi riempire la bocca della gioventù che vedo intorno a
me, quella che avete prima ammorbato per poterne poi avere il controllo. Quella
gioventù che sta crescendo grazie ai nonni, che si prega siano eterni.
Son
solo chiacchiere in libertà, Signor Presidente del suo paese delle meraviglie.
In fondo se ci permettiamo la critica è solo per invidia – quella nostra dei
comunisti – che viviamo tristi in un altro mondo, e per fortuna anche in un
altro modo.
Rita
Pani (Che mi sento tanto nonno Simpson)
3.21.2012
Piccole donne schiave del futuro
Ho
sul comò un paio di scarpe col tacco da dodici che dovrò domare al più presto. Ci
provo, ma s’imbizzarriscono ancora. In fondo mia madre me lo diceva quando
iniziai a girare con le clark in estate come in inverno, che prima o poi mi
sarebbe servito somigliare a una donna. Che una volta ogni tanto avrei potuto
mettere qualcosa di diverso ai piedi, anche quando ancora portavo quelle
minigonne inguinali che lasciavano intravedere le tonsille.
Poi
il tempo è passato, e le scarpe comode sono diventate una religione, quel
simbolo di libertà che dà il sapere di poter stare sempre in piedi, di non
oscillare mai, di reggersi e non cadere.
Bisogna
educare le figlie ad essere donne, sì. A mostrare l’eleganza della femminilità.
A stare sedute per bene, con la schiena dritta e le gambe oblique. A tenersi e
mantenersi perché non si sa mai. Una volta una donna anziana mi disse che era
importante la pelliccia per una donna. Era come se desse agli occhi di chi
guarda, un tono d’importanza. Lì per lì restai perplessa, ma oggi riconosco il
senso di quelle parole. Essere dimessi ti rende nulla dinnanzi a questo mondo
incapace di guardare oltre l’apparenza. Una pelliccia di buona fattura dirà
assai più di un curriculum, dell’educazione e del rispetto. Se indossi qualche
migliaia di euro di animali morti, difficilmente sembrerai essere stata l’ultima
della fila.
Il
mondo cambia e bisogna attrezzarsi in fretta per stare al passo con l’evoluzione.
Il mondo cambia e dobbiamo liberarci dalle sovrastrutture che ci portiamo
appresso. Mie figlie sono ormai adulte, e io mi rammarico per la mia stupidità.
Quando avevano qualche anno, mi ricordo, le portavo a passeggio dopo che aveva
piovuto: “Topolino, andiamo a schiacciare le pozzanghere?” Stupida che ero! Mi
bastavano i loro occhioni che s’illuminavano e la frenesia con la quale
volevano indossare i loro giubbottini colorati. Poi si saltellava, schiacciando
forte l’acqua che schizzava il fango sull’orlo dei pantaloni.
Continuo
a dire a mia figlia di impegnarsi nello studio – so che non le servirà a nulla
e che sarebbe meglio dimenticasse le idiozie che le insegnano – ma è il senso
di responsabilità, le dico, che è importante. Quel senso del dovere col quale
si assolvono i compiti che la vita ci impone. Le spiego che il mondo non è più
un bel posto in cui vivere e che per forza di cose dovrà un giorno impegnarsi a
migliorarlo, quando le sarà dato partecipare attivamente al volgere del tempo. Le
dico un sacco di cazzate. Due figlie, due donne. Che bellezza e che fortuna. Quando
finiva un amore, parlare con loro del loro dolore, a volte della loro fortuna,
e poi il meglio che una mamma possa fare: chiacchierare della dignità. Gioire
quando una delle proprie figlie, dimostrava di sapere esattamente cosa volesse
dire essere donna e distinguersi per questo, col proprio orgoglio, con la
fermezza, con la forza che una donna deve assolutamente avere, in questo mondo
maschio e ottuso che sbatte le porte in faccia quando non può sollevare le
gonne.
Perdonatemi,
figlie mie. Perdonate tutte le cazzate che vi ho insegnato.
C’è
sempre chi è più avanti in questo mondo, c’è sempre chi vede meglio e chi
meglio sa. Non è più mondo in cui si debba insegnare a essere. Non è mondo che
possa vivere d’essenze. Non è un mondo capace di guardare negli occhi l’anima
di una persona che ti parla, che ti tocca senza mai sfiorarti. Non è mondo in
cui ci si possa riconoscere e annusare. Meglio insegnare tutta la lordura e
subito, in modo che le figlie crescano senza inganni.
Solo
sei euro per una passata di smalto sulle unghie della tua bambina di quattro
anni. Tre euro per un po’ di trucco. Una maschera allo yogurt per il viso della
tua bambina di cinque. Il lunedì catechismo, il martedì palestra, il mercoledì
danza, il giovedì salone di bellezza, il venerdì ancora danza, che magari prima
o poi andrai in televisione.
Questo
è il mondo che verrà, perché è un mondo che continuerà a centrifugare l’umanità
girando al contrario. Nessuna madre rischierà di vedersi sottrarre le figlie
dagli assistenti sociali, uscendo dal salone di bellezza per bambine. I figli
si portano via ai poveri, mica ai deficienti. Chissà se la donna che si è
inventata la fabbrica di mostri è stata una di quelle che mandò la sua foto a
Repubblica, quando le donne sentirono l’urgenza di rivendicare la propria
dignità in piazza, contro il sistema che le promuoveva solo dopo averle
utilizzate – finalmente.
Mi
vien da ridere, lo ammetto. Un riso disgustoso. Non bastava aver sputato sopra
le lotte operaie e i cadaveri che hanno lasciato per terra a garantirci un
futuro, ora è tempo di fare i conti anche con quelle povere idiote che al tempo
presero le manganellate per garantire l’emancipazione femminile … e mi fermo,
perché ci sarebbero altre considerazioni da fare, pensando alle santanché e
alle loro battaglie antiburqa o alla liberazione della donna dallo schiavismo musulmano.
Come
gliela spieghi – a queste dementi – la schiavitù della donna al quale si insegna
che la donna deve essere schiava prima di sé stessa, per poter finalmente
essere schiava di un sistema dominato dall’aberrazione mentale?
Difficile.
Nemmeno ci provo.
Rita
Pani (APOLIDE)
3.20.2012
Violenterò il Papa
L’ho
detto molte volte il mio imbarazzo e il mio divertimento, dinnanzi alla
domanda: “Che fai nella vita?” Ho imparato a tenermi sul vago rispondendo che
scrivo, perché se si dico che faccio la scrittrice, di domanda ne segue sempre
un’altra: “Sì, ma per vivere?”
Già,
per vivere?
“Io
muoio di scrittura.”
Mi è
capitato in sorte di essere una scrittrice, di avere un’arte, di essere
annoverata – Dio solo sa come – persino in quella categoria che un tempo,
quando aveva senso, veniva circoscritta nell’intellettualismo e non
necessariamente perché ho gli occhiali; una sorte avversa giacché di contro,
sono anche drammaticamente onesta.
Scrivere.
È così piena, questa Italia, di scrittori, che non è più una specialità saper
disegnare con le parole. Una penna e un pezzo di carta, un computer con il “Word”
e il gioco è fatto. Puoi farti il tuo libro con quattro semplici click, e
venderlo persino che tanto hai un sacco di amici su Facebook. È facile quindi
che la gente non sappia quanta fatica ci vuole, quando sulla carta che riempi
ci versi tutta l’anima che hai. Quando le persone che racconti ti hanno vissuto
dentro, accompagnandoti giorno per giorno, premendo per uscire da te che ne
sentivi l’odore, che ne conoscevi le
voci, le movenze, che sentivi ridere o piangere la sera quando finalmente
riuscivi a riposare. La gente non sa quanta fatica ci sia in un foglio riempito
di ciò che vale la pena dire, urlare e persino insegnare. Dare un senso alle
parole è fatica, è lavoro. Io sì – senza umiltà alcuna – affermo con forza:
Muoio di scrittura.
Morivo.
Perché adesso basta. Basta così di cercare il senso alle cose da dire. Il
pensiero anche se è donato, è un dono che lascia offesi. Non è importante
scrivere bene, avere un’ arte, essere anche intellettuali. Non è importante
soffrire come soffre il suono delle tue parole, riuscire a disegnare la gioia in
un paio di occhi grigi s’offrono al mondo. Non è importante che il lettore
arrivato all’ultima pagina, senta di avere appetito, di volerne ancora, di
desiderare sapere – per esempio – che ne sarà dell’amore di Hermes e la Poeta.
È importante
solo quanti ne hai ucciso. Quanto hai rubato. Di chi è stato l’ultimo pene che
hai tenuto tra i denti, e di chi erano quelli che ti son passati sopra, prima. È
importante aver ucciso un’amica dopo una notte di droga e di sesso, di aver
fatto rapine, di aver compiuto una strage, di essere abbastanza puttana da
riuscire a far credere a un vecchio tizio debosciato, d’averci un toro dentro
le mutande.
Non
è più tempo d’essere artisti, di morire d’arte, di sentirsi mortificati perché
il tuo lavoro giace dentro un magazzino dal quale non riesce a uscire, perché
non è un prodotto che vada bene in questo mercato dove si vende solo la merce
avariata. A che serve raccontare la vita, quando ci hanno insegnato che abbiamo
il dovere morale di sognare, perché la fama non sta in quel che hai donato, ma
nel riuscire ad esistere sotto i riflettori di una televisione marcescente, o
sulle pagine di un giornale che nessuno ammetterà mai di leggere. La fama non
sta in quel che hai donato, ma solo in ciò che hai mis-fatto.
È solo
che ormai tutto è compiuto. Schettino scriverà un libro, dopo aver fatto una
strage. Coi cadaveri ancora caldi sulla coscienza, dirà al mondo che non è Capitan
Codardo, e non lo farà gratis, ovviamente. Vivrà della sua arte d’essere stato
capace di essere un incapace.
Ho
voglia di vivere. Avrei voglia di vivere della mia arte, ma visto che ormai
tutte le cose sono state inventate, ora che ormai tutto è già fatto, non mi
resta altro che fare di più: Violenterò il Papa. A questo, credo, ancora non
abbia pensato nessuno. Magari svolterò, e la prossima volta che mi chiederanno:
“Che fai nella vita?”
Potrò
rispondere con orgoglio: “Sono una scrittrice.”
Rita
Pani (Apolide)
3.19.2012
E' possibile trovare un senso?
È
molto peggio del questi o quelli pari son. Il problema reale oggi è il
“sicariato” di governo. Come un giudice texano che lascia lavorare la difesa
del condannato a morte, allo stesso modo i ministri lasciano sindacare i
sindacati, quasi fosse un pro forma da rispettare per arrivare a fare
esattamente ciò che si “deve”. È la regola imposta per il mantenimento di una
democrazia d’apparenza che tiene buoni gli animi e lascia sperare nella rivalsa
delle prossime urne, ormai imminenti.
Peccato
che non ci sia più da tempo la democrazia e prova ne sia che mentre questi
continuano ad arare il terreno, gli altri si preparano alla semina.
Da
un lato la gente si convince che il tecnicismo di governo sia apolitico e
responsabile, dall’altro si guarda con preoccupazione alla politica (non
politica) che si riorganizza in attesa di poter tornare, candidi e puliti come
vergini, e senza più nemmeno la decenza di tacere. Emblematica l’ultima
dichiarazione di quel che resta di bossi, il quale essendo idiota tra idioti,
ha candidamente detto che le prossime elezioni amministrative, serviranno per
contarsi, per vedere se hanno i numeri per “star soli” o se dovranno
necessariamente tornare a far cricca e spartire il bottino col partito del
tizio.
Non
vi è più decenza, nemmeno nelle parole. Il turpiloquio è sostituito dall’enfasi
con la quale ormai si spacciano per virtuosismi le più abominevoli aberrazioni.
Per esempio, questa mattina leggevo su un giornale che è convenientissima la
sanità low cost. I medici che fanno sconti riescono a garantire un’adeguata
assistenza sanitaria. Dovrebbe essere vergognoso e invece non lo è, ma anzi si
legge come un’opportunità di riuscire a tirare ancora avanti, anche nel nostro
paese in cui anche la sanità dovrebbe essere un diritto del cittadino. Uno di
quelli spariti con la cessazione della democrazia reale, quella fatta a pezzi
dall’ultimo decennio di barbarie, che abbiamo subito pressoché passivamente.
Da
anni ogni mattina i giornali sembrano sempre più simili ai mattinali delle
Questure. Ogni giorno un’infornata di nuovi inquisiti, vecchi ladri, figli o
fratelli, mogli o cognate di coloro che in teoria dovrebbero fare gli interessi
della collettività, eppure il disco è rotto e batte sempre la stessa nota: la
giustizia quando non è comunista è vendicativa. Tanto ora ci sono i professori,
si consolano i semplici, quelli che esultano per la finanza nei negozi a mo’ di
spot della vecchia pubblicità progresso, senza considerare che è bastato
sussurrare l’intento di rimettere mano al codice penale per ritrovarsi di
fronte il ricatto: “Se toccate la legge sulla corruzione, allora dovete
garantirci l’alleggerimento delle intercettazioni telefoniche, e soprattutto
non potete toccare le televisioni, perché noi vi abbiamo dato il mandato di
uccidere il popolo e non la classe malavitosa dirigente.”
Ed è
sempre più difficile conservarci. Trovare un senso per sopportare. Sperare.
Rita
Pani (APOLIDE)
3.15.2012
Deserto
Evidentemente,
loro, frequentano meglio e non guardano intorno. Solo così si spiegherebbe la
stupidità di questa gente al potere, concentrata a salvare se stessi senza
pensare che la salvezza dell’economia risiede in noi, cittadini educati ed usi
al consumo.
Non
hanno contezza di una realtà che spaventa e disarma, che lascia freddo e vuoto,
spavento nell’anima.
Basterebbe
organizzare una gita educativa in un centro commerciale che sembra lo scenario
apocalittico della fine di un’era, con le serrande tutte abbassate, e il
ricordo dei tempi migliori nelle scatole vuote abbandonate dietro le vetrine
che un giorno erano il richiamo e il passatempo della gente che ancora aveva
gusto nell’oziare.
Le
scritte colorate restano a memoria di quell’ultimo giorno, in cui si vendeva tutto
a uno, cinque o dieci euro, per cessata attività.
I
pochi rimasti aperti offrono sconti del 50 più 50; qualcuno azzarda un 70 più
venti, e allora ci si chiede quale sia il prezzo reale della merce che vendono,
per quanto tempo essi siano stati autorizzati a rapinare chi aveva bisogno di
un paio di scarpe, di un paio di pantaloni o di un paio di mutande.
Leggo
basita le dichiarazioni di questi cafoni arricchiti che pretendono di sapere
cosa dovrà essere il nostro destino, e che negano il futuro ai nostri figli e
mi domando se davvero non sappiano che la fine è arrivata. Mi domando per
quanto tempo ancora potranno fingere di essere in grado di indurre qualcuno a
sperare.
“Bisogna
poter licenziare” dicono. Sembra che sia questa la formula magica per tornare a
comprare il pane ogni mattina. Licenziare ancora e di più. I padroni devono
essere liberi di farlo.
Giocano
con i numeri fingendo di essere scienziati, ma forse davvero perché non hanno
avuto il coraggio di fermarsi ad osservare il mondo che uccidono, di mischiarsi
anche solo per un momento in modo da comprendere cosa stia diventando la
sopravvivenza, quella che inevitabilmente più prima che poi, ci farà contare i
morti per strada, perché è chiaro che alla fine vincerà colui che resterà in
piedi.
Più
facili licenziamenti equivale a più facile schiavitù. Cottimisti a nero, magari
neri, di quelli che non hanno nemmeno il diritto di lamentare, che li puoi
stoccare direttamente sul posto di lavoro, al minimo della sopravvivenza. Quelli
che puoi gettar via sul greto di un fiume quando muoiono, perché spesso non
sono risultati mai nemmeno in vivi. E poi il contratto capestro, quello a cui
nemmeno un bianco potrà dire di no, perché è sempre meglio di nulla, perché hai
una famiglia da sfamare, o da portare in quel che resta di un centro
commerciale a calzarli e vestirli a pochi euro che però son sempre troppi,
soprattutto se devi scegliere come investire quel poco danaro: mangio, mi curo
la malattia o mi vesto?
Il
diritto al lavoro non deve essere un tabù, ci diranno prima o poi, e tanto
siamo italiani e abbiamo insita l’arte di arrangiarci, di sopravvivere senza
mai smettere di cantare o di sorridere, di prendere il sole anche se nemmeno ci
avanza un piatto di spaghetti.
Ogni
volta che ci guardiamo intorno sappiamo che dovrà succedere qualcosa, poi ci
rassegniamo perché in cuor nostro speriamo non succeda nulla, e poi ci
addoloriamo perché ancora sappiamo che non serviamo più nemmeno per essere solo
e soltanto come ci hanno creato: non esseri umani, ma consumatori.
Rita
Pani (APOLIDE)
3.12.2012
Lettera aperta alla Fornero: lei mi fa orrore!
"Non
si può dare il salario minimo agli italiani, o si siederebbero a prendere il
sole e mangiare pasta al pomodoro"
In
linea di massima, illustrissima signora Ministro Fornero, sono d’accordo con
lei. Forse l’unico punto che mi lascia scettica è la scelta degli ingredienti. Fossi
stata in lei, e nelle catene d’oro che ama mostrare peggio di una Maria
Antonietta con meno classe e più supponenza, avrei detto: "Non si può
dare il salario minimo agli italiani, o si siederebbero a prendere il sole e
mangiare pasta al caviale a 180 Euro il piatto."
Quanto
ha ragione signora Ministro! E che
bello, finalmente, sentire in Italia un ministro che parla con cognizione di
causa. È vero, troppi ne abbiamo visti di italiani abbronzati anche a Febbraio,
col muso ancora sporco di pomodoro e aragosta, venire a parlarci di carestia e
sacrifici. Immagini cosa sarebbe questo nostro paese, se per assurdo a tutti
fosse garantito di poter vivere esattamente come fate voi, parassiti ingrassati
e pur sempre affamati.
Lei
vede lontano, signora Ministro, e questa volta ha visto bene, e le riconosco il
coraggio della sua arroganza. Lei sa di cosa parla, perché non passa giorno che
lei si renda conto di quanto male ha fatto al nostro paese garantire a
pusillanimi come voi di poter passare sui nostri cadaveri restando pressoché
impuniti. Ogni giorno, dinnanzi ad un nuovo avviso di garanzia, o di un’inquisizione,
gli italiani col muso ancora sporco si chiudono a riccio proteggendo il loro
sodale che rischia il fastidio di anni di tribunali, per i tempi delle
prescrizioni giudiziarie che sono ancora troppo lunghi, e che impediscono di
vivere i frutti del proprio lavoro con la dovuta serenità.
Ha
ragione signora Ministro. Sarebbe un paese morto il nostro, se si desse ad un
lavoratore qualunque, la possibilità di stare in piedi o di sostentare la
famiglia senza dover rubare, se tutti avessero un tetto sopra la testa, se le
banche prestassero i soldi senza tassi da usura agli imprenditori che altri
imprenditori hanno ridotto alla fame. Quale paese potrebbe mai sopravvivere in
regime di giustizia sociale?
Ci
sono già troppi italiani che hanno approfittato del salario garantito, e per
giunta non sono stati nemmeno riconoscenti, non hanno saputo accontentarsi.
Hanno dovuto rubare tutto ciò che era possibile rubare, a volte anche a loro
insaputa, perché la crisi fa paura più ai ricchi che ai poveri – come disse un
suo collega – che i poveri, ci sono già abituati alla povertà. I ricchi
avrebbero troppa sofferenza e difficoltà di adattamento alla condizione
normale.
Sarebbe
bello e umano che lei si vergognasse, ma non è contemplato in questo nostro
tempo in cui nessuno, alla fine, le taglierà la testa come la storia insegna e
la civiltà – la nostra e non la sua – proibisce. Se le fosse una donna, un
essere umano o una persona, con la memoria dei morti che il vostro sterminio ha
mietuto e miete quotidianamente, andrebbe in un supermercato a guardare la
gente che guarda gli scaffali; le donne che prendono in mano un prodotto e lo
ripongono, pensando che in fondo si può fare a meno anche degli spaghetti,
illudendosi che al fine se ne avrà agio dimagrendo, ed essendo pronte, d’estate
ad andare a prendersi un po’ di sole, che almeno è gratis se non hai la
stupidità di pagare per avere un po’ d’ombra da un ombrellone affittato.
Sono
orgogliosa di non aver ceduto nemmeno per un attimo alla compassione, davanti
alle sue lacrime egocentriche, date dall’emozione di essere davanti a una
telecamera, con l’ansia di apparire perfetta stretta nel suo collare d’oro,
addobbata come un albero di Natale dai suoi orecchini di diamanti. Lei mi fa
orrore: è solo un sicario, pagata dalla mafia dello stato per ultimare lo
sterminio che quel verme che vi ha preceduto non ha avuto il coraggio di
perpetrare.
Mi
piacerebbe finire inneggiando a Piazzale Loreto, ma non lo farò perché ho
rispetto di tutti i Partigiani che hanno lottato e sono morti per consegnarci
uno stato democratico che noi, colpevolmente abbiamo consegnato alla feccia
come voi. Non siamo degni di Piazzale Loreto. Quel che le auguro, signora
Ministro, è di arrivare a conoscere una vita di stenti, di non sapere come
mettere insieme il pranzo con la cena, e di guardare sua figlia negli occhi con
la disperazione che dà sapere di non poterle più garantire un futuro.
Rita
Pani (APOLIDE)
3.09.2012
La vendetta dei giudici
Al contrario di quel che leggo sui giornali, trovo che la
questione tangentizia padana, sia un evento altamente rassicurante, che riporta
ordine – qualora ce ne fosse stato bisogno – e dipana per sempre ogni dubbio
sull’unità d’Italia.
L’Italia è una, unica, e indivisibile Repubblica che si
regge sulla corruzione e sul ladrocinio, da Milano a Reggio Calabria, da
Cagliari a Palermo passando per Trieste. Unico stato, unico sistema – ‘o
sistema – al quale bisogna piegarsi per riuscire a sopravvivere.
Milano come Roma, con i suoi malavitosi eletti per volontà
del capocosca o del capo mandamento, che senza alcuna differenza, tra Varese o
Potenza, hanno come unico scopo quello dell’arricchimento personale, dei
saccheggi, dei piccoli furti, fino al riciclaggio del danaro sporco ad Antigua
come in Tanzania.
Il popolo italiano è anch’esso uno e unico, così uguale da
far spavento. Abbassate le corna degli elmetti di ordinanza o tirata su la
coppola a mezza fronte un po’ sopra il sopracciglio, l’italiano è uguale in
Brianza come ad Agrigento, ad Oristano come a L’Aquila. Unico popolo in unico
stato: l’italiota.
Ascoltare Radio Padania in questi giorni è inquietante ma
nello stesso modo orgasmico. Una donna che biascica l’accento delle valli,
redarguisce l’intervistatore che finge preoccupazione: “Certo ora si cerca di
spezzare la lega, perché ha presentato il decreto che colpisce i giudici. È una
vendetta.” Vien da ridere, soprattutto se lo senti dire mentre sei in auto e ti
guardi intorno, e tutto ti parla della mafia travestita da politica. Vien da
ridere perché la signora imbevuta di propaganda non ha fatto altro che ripetere
il mantra che fin da subito è stato recitato dal capogruppo della lega in
parlamento – quello italiano. La vendetta dei giudici, nella perfetta logica di
uno stato apolitico, governato sul modello di cosa nostra, quella più brutta,
quella copiata male e senza attenzione dai romanzi di Mario Puzo.
Riflettere sull’uso improprio del linguaggio, semmai dà più
sconforto: i giornalisti non correggono il tiro, non si esprimono a modo. Semplicemente
assecondano le teorie giallistiche (quasi marroni) senza considerare che il
parlamentare è uomo delle istituzioni, che la magistratura è un’istituzione,
che lo stato è lo stato; o almeno tutto ciò dovrebbe essere.
I nostri soldi al nord, era lo slogan. E il sistema
tangentizio padano, dà finalmente un'altra certezza al popolo: “promessa
mantenuta!” i soldi del nord resteranno nel nord, sotto una mattonella di una
villa di Gemonio, o anche in Tanzania, che comunque non è Italia. Il resto
muoia sereno.
Rita Pani (APOLIDE del sud)
3.07.2012
Desolante ... come un quadro di Picasso
Sembra di vivere in un quadro di Picasso, uno di quelli che
non capiamo, che non ci piace, ma che per buona creanza ci sentiamo in obbligo
di ammirare. Come se avessimo tutti un orecchio al posto del naso, e non siamo
più capaci né di odorare, né di sentire.
“Una tassa sull’alcol per finanziare la scuola” dicevano
ieri, ma oggi dicono che no, non va bene, bisogna pensarci di più e meglio. Bisogna
discuterne ancora in commissione.
Ho sorriso quando l’ho letto, per via di quell’orecchio che
mi son sentita spuntare sulla punta del naso, per quell’occhio caduto sul
mento. Finanziare la scuola con i proventi degli alcolici, e della birra dato
che ormai sempre più gente si dà all’alcol per dimenticare di trovarsi in
questo quadro sfigurante, è il massimo del genio che c’è?
Dai Monti! Professore pensi, s’ingegni, si può fare di più.
Per esempio, perché non finanziare la sanità con una tassa
sulla prostituzione? Lo so, sarebbe un po’ come copiare il compito in classe
dal bambino più cretino della scuola, ma almeno potrebbe dire un giorno: “Ehi! Non
mi sono inventato nulla, c’è chi l’ha fatto prima di me.” Si ricorda Veltroni?
Lui finanziò la cultura, in Italia, facendo aumentare in modo esponenziale le
lotterie istantanee, quelle dei gratta e vinci che tolgono il pane alle bocche
con la speranza di poterci infilare una bistecca, domani. Poi la cultura è
fallita ugualmente, derubata dall’inettitudine di ministri cretini come bondi,
oppure semplicemente depredata dalla pirateria dei “direttori” ladri che
vuotavano le casse, pagavano tangenti, finanziavano progetti pseudo culturali prodotti
da zoccole o servi, ma il gioco d’azzardo è aumentato, finendo per finanziare
le tasche del malavitoso per antonomasia, e di tutte le cosche a lui collegate.
Per mantenere intatti i diritti dei lavoratori con la
conservazione degli ammortizzatori sociali, potremmo creare un dipartimento per
il sequestro di persona, per esempio. Sembra brutto, ma se ci pensa bene,
professore, non lo è. Anzi! Si potrebbe ristabilire una certa giustizia
sociale. In un quadro di Picasso, tutto è possibile. È possibile anche che a
qualcuno piaccia davvero.
Insomma, è notorio che i ricchi non pagano le tasse, che
evadono il fisco, che rubano e imbrogliano, favorendo l’impoverimento della
nazione. Con un sequestro di persona, si tornerebbe a posto, e si creerebbero
anche nuovi posti di lavoro. Funzionerebbe così, professore: stabilito che sei
un ladro, e che non paghi le tasse manco morto, perché tanto in galera non ci
vai, ti rapisco un figlio o un parente prossimo e i proventi del riscatto
andranno a finanziare gli ammortizzatori sociali. Non le sembra geniale,
considerando che tra l’autista, i sequestratori, i carcerieri, i mediatori si
otterrebbero almeno venti posti di lavoro per ogni rapimento? Moltiplicato per
gli evasori fiscali in Italia …
Ah! Se avessi la certezza d’essere stata utile, ora mi
sentirei bene … proprio come nel quadro.
Rita Pani (APOLIDE desolata)
3.05.2012
D'amore non si muore
La primavera è nell’aria, si annusa ormai da un paio di
giorni nell’odore dei cadaveri delle donne che perdono la vita, uccise per
gelosia. Follia passionale, la chiamano, e io mi domando quale passione possa
esserci nello sterminio di una famiglia, nel privare della vita un figlio, un
padre, una madre o due ragazzi che stavano là, nella primavera che arriva,
quasi per caso.
I giornali raccontano i fatti, colorandoli come possono
visto che non c’è più un Buzzati, che ti avrebbe fatto appassionare per quel
sangue o per quel foulard stretto intorno al collo, così minuziosamente
descritto che ti viene da controllare nel cassetto se per caso o per disgrazia
ne possiedi uno simile anche tu.
“Non voleva perdere la donna che ancora amava”, scrivono. E
di quale amore, di grazia? Che tipo di amore è quello che uccide per gelosia?
No, l’amore è cosa seria, l’amore può anche togliere la vita – perché no? –
quando però vuole liberare, per esempio, dalla sofferenza della malattia troppo
lenta da sopportare.
Negli ultimi dieci anni gli omicidi in famiglia sono
triplicati, e le vittime sono donne al 70%. La percentuale dei bambini nemmeno
la voglio sapere, perché uno solo sarebbe già abbastanza. C’è chi studia il
fenomeno, attribuendolo massimamente alla crisi economica, alla lungaggine
delle separazioni e dei divorzi, o al fatto che ormai amarsi o non amarsi più,
sia cosa da ricchi. Come in ogni studio che si rispetti la terminologia usata è
scevra di ogni romanticismo, solo numeri incolonnati ed è consolante, perché
almeno l’Eurispes non ha la pretesa di chiamarlo amore.
Poi però ci sono i media, che fiutano il “trend” e non se lo
lasciano sfuggire. La fredda cronaca si riscalda col melenso bricolage di
ricostruzioni e docufiction, con i parenti delle vittime che raccontano le loro
care ammazzate dai bruti, col sorriso della nostalgia e dell’amore sempre
amato, fino alla fine, quando finalmente possono essere liberi di salutare il
pubblico lasciando scendere una lacrima.
E ci sono le didascalie dei giornali, sotto le fotografie
del mostro in manette: “il camionista ubriaco”, l’assassino di Verona, il
mostro di Canicattì. E ci prepariamo a questa lunga scia di morti primaverili,
a ridosso dell’otto di marzo, giorno in cui – per fortuna – ci saranno nuove
eroine da ricordare, tra una mimosa e l’altra, tra un menù e i consigli per non
sfigurare in quell’unica giornata dedicata alle donne, tutte le donne
finalmente presenti.
Omicidio suicidio choc a Piacenza … e di nuovo il frugare
tra il fango della vita altrui, ma erano extracomunitari e lo si fa solo per
far numero, per aumentare questi fiori primaverili, per dare adito alle
chiacchiere sui perché e sui per come e inventare scenari che nessuno potrà mai
confermare, non risparmiando l’orrore del colpo alla schiena e degli altri sei
o sette sparati quando la donna era a terra: sei o sette? E che importanza ha?
Era tanto sangue, e gli uomini in tuta bianca nel recinto della scena del
crimine si muovono proprio come un film americano, che per un attimo ci tiene
compagnia e ci distrae, mentre ancora in sottofondo, qualcuno vaneggia d’amore.
L’amore è un’altra cosa.
Rita Pani (APOLIDE
con le balle girate)
3.02.2012
La cellulite è sconfitta!
Passano
veloci, a volte scritte in piccolo, le notizie che non urlano mentre invece
dovrebbero. Poi son scritte con gentilezza, educate. Le notizie che non
vogliono disturbare; sono così garbate che sembrerebbe tangibile la pacatezza
di chi scrive.
Ne
ho letto una anche oggi, così decente: “ In Italia è in calo la spesa
alimentare.” Poi è sparita, ingoiata dallo spread che tutto divora, dal PIL che
è solo una sigla che nessuno riesce davvero ad immaginare cos’è, e dal nuovo
record italiano – un altro boom – quello che vede aumentare di giorno in giorno
la disoccupazione giovanile, perché quella delle altre età non si conta più.
Chissà
cosa sarebbe stato se il giornalista fosse stato meno servo, un po’ più rude e
maleducato! Forse avrebbe scritto in maniera differente il suo articolo pieno
di numeri e di percentuali, lo avrebbe colorito un po’ di più con quella verità
che non si capisce perché, deve essere sempre rimandata a noi, che battiamo
tasti a caso, certi che se pure letti oggi, domani saremo dimenticati.
Per
esempio chiamare la fame col proprio nome. Forse sì, avrebbe disturbato coloro
i quali ancora non si rendono conto di essere ben oltre il punto di non
ritorno, ma avrebbe di certo aiutato a comprendere perché non sembra proprio
una buona idea riformare il lavoro in senso peggiorativo, licenziando per
assumere e licenziare per assumere e licenziare per assumere, ogni tre mesi,
frodando lo stato che continua a pensare all’assistenza del padrone e non alla
dignità del lavoratore, che del lavoro in teoria dovrebbe vivere.
Denunciare
la povertà del popolo può essere un fattore deleterio, lo comprendo, ma avere
contezza della propria povertà potrebbe aiutare, invece, a trovare il motivo
per la riscossa reale. Il fatto è che la povertà spaventa anche i poveri, e c’è
sempre quel minimo di speranza che riescono a dare i sogni, e così, per
esempio, basta perdere un quarto d’ora della propria esistenza per rendersi
conto che la televisione – anche quella privata dello stato dal monopolista
delle televisioni – ha iniziato in maniera martellante a pubblicizzare il gioco
d’azzardo. Non più la classica lotteria che ha fatto sognare il popolo fin dall’esordio
delle “Canzonissime” o della “Sisal” e poi “Totocalcio”, ma del gioco d’azzardo
come il Poker o la Roulette. Inutile che io vi dica, poi,
chi insieme alla mafia ha messo le mani sul gioco d’azzardo legalizzato, ve’?
C’è
la fame e non c’è la volontà politica di combatterla prima di iniziare a
contare i morti. Ma nemmeno questo si può dire, perché tanto se non si possono
ingozzare i bambini con le merendine “quelle buone” (che contengono merda) del
Mulino Bianco, ci saranno quelle surrogate che contengono merda ma costano poco
dei discount alimentari, anche loro in difficoltà, sebbene sempre pieni all’inverosimile
di persone che a mangiar merda ci si sono abituati, perché prima di tutto la
sopravvivenza.
L’Italiano
taglia sulle spese alimentari, significa che in Italia le famiglie iniziano ad
avere problemi a pagare il cibo, e non è solo vergognoso, ma anche pericoloso. Ma
siamo un popolo virtuoso che s’industria e reagisce cercando sempre un altro
sogno da fare, e certi che in qualche modo qualcuno glielo regalerà. E così mi
torna in mente quando l’Università di Perugia fece un bellissimo seminario
sulle erbette di campo “che era tornato di moda andare a raccogliere”, e che
offriva un sacco di buone occasioni, dalla vita a contatto con la natura al
ritorno ai sapori di una volta, senza mai però citare l’antica ricetta del pane
e cicoria.
Aspettiamo
prima di fasciarci la testa, magari arriverà l’esperto a dirci che sebbene non
si sia riusciti a sconfiggere il cancro con soli tre anni di governo, almeno
avremmo vinto il nemico più grande di tutte le donne: “la cellulite”.
E’
noto infatti come prima regola per perdere il grasso che provoca l’orribile
inestetismo sulle nostre chiappette sante, sia quella di mangiare assai meno. Diventeremo
tutte delle strafighe da urlo, e ringrazieremo la povertà. Che bello poter
concludere con una nota di ottimismo: “Non tutti i mali vengono per nuocere.”
Rita
Pani (APOLIDE)