6.04.2011

 

Hai visto un bimbo che soffre?

Un po', appena un po', mi urtano le foto dei bimbi deformi o martoriati dalla chemioterapia, usate per propagandare la campagna referendaria contro il nucleare. Questo assurdo bisogno di vedere, per credere, per dire di sapere. Questo modo di mostrare più che di spiegare, che negli anni ha fatto sì, che non ci si soffermasse più di tanto davanti alla morte di 150 persone in un colpo solo, in mezzo al mare che separa il sogno dalla realtà. Sarebbero morti davvero, solo se ce li avessero mostrati, uno sopra l'altro, come i pesci di una pesca miracolosa sul ponte di un peschereccio. La foto di un bimbo che soffre, farà pietà, ma non insegnerà i mali silenziosi che non si possono fotografare, di tumori tiroidei, di disfunzioni, del mistero che ogni giorno, nostro malgrado, respiriamo, magari convinti di essere andati al mare per respirare lo iodio o l'aria buona, mentre invece stiamo minando il nostro organismo.

Sarebbe meglio propagandare le foto dei vagoni fermi sui binari morti di molte piccole stazioni italiane, che sembrano abbandonati, ma son sigillati coi piombi, e dire a tutti coloro che da pendolari tutte le mattine ci si fermano accanto, che bisogna dire no (votando sì) al nucleare, perché in quei vagoni abbandonati, forse son stoccate le scorie radioattive che nessun governo italiano, si è mai impegnato a smaltire.
Ma un bambino che soffre, ammettiamolo, è un veicolo pubblicitario di maggiore e più sicura presa. A chi importerebbe mai di sapere che un pastore sardo, che per anni non ha fatto altro che stare all'aria aperta, pensando che fosse buona, è morto di tumore per l'uranio impoverito che ancora il governo italiano nega di aver mai utilizzato? Son radiazioni, anche quelle però, e come tutte le radiazioni innescano nell'uomo – bimbo o anziano – solo e soltanto morte. 

Mi urtano sempre di più le immagini della sofferenza infantile utilizzate per dar schiaffi alle coscienze che hanno preferito sopirsi, per ridestarsi a comando, proprio spinti dalla pubblicità. Se non avessimo bisogno di posare gli occhi sulla morte, ci ricorderemmo più facilmente che esiste e che spesso è proprio l'uomo a provocarla, per profitto o per stupidità, per potere o per incuria – persino di sé.

Vorrei dire a tutti coloro che d'estate vanno al mare a Montalto, per esempio, e che ci portano i loro figli con i capelli a giocare e a respirare, che il nucleare sta ancora là, e non si sa come. Vorrei ricordare a tutti gli altri che al pomeriggio vanno in campagna a cercare le lumache di guardarsi bene intorno, perché in Italia nessuno o quasi nessuno sa davvero quante siano e dove siano stoccate le scorie della precedente e devastante esperienza nucleare, che non ha fatto i morti come Chernobyl, tanti e tutti insieme, ma ne miete un po' tutti i giorni, con leucemie, con le cellule impazzite, con l'Ilva di Taranto così come fece illotempore il polo industriale di Portovesme, in Sardegna.

Lasciamo in pace quei bambini, non li guardiamo, e se al solo pensiero di uno di loro ci sentiremo tutti davvero male, vorrà dire che siamo un po' migliori di quanto sembriamo.

Rita Pani (APOLIDE)

Comments:
eh sì cara Rita, un modo cattocriminale di penetrare nelle coscienze per demolire la cruda realta' la nostra salute? considerarta a spanne, per interesse del potere! saluti dal vecio.
 
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