1.28.2011

 

Meglio la DIGOS che la Buoncostume

Ne ho passate tante di sere, a parlar di politica. Mi ricordo che la pacatezza svaniva un bicchiere dopo l’altro, fino alle vene del collo grosse come le dita, fino a quando la notte giungeva come una sorpresa, nell’orologio che avevo appeso in cucina, che segnava le tre. Le voci grosse, le invettive, il turpiloquio che accompagnava sempre le prese di posizione, il raffronto tra ieri e oggi, le rivendicazioni, le disperazioni comuni che poi sono anche le nostre, e alla fine, come se fosse un’addizione, la linea tracciata per arrivare alla somma delle parole di una sera, che era sempre più o meno così: “Allora, Compagni, bisogna … si deve … dobbiamo.”

Ho passato così tante sere, a farmi lacrimare gli occhi in una stanza avvolta dal fumo delle sigarette, a sgolarmi, ad allibirmi, che quasi ho imparato ad ascoltare, come fosse seduta in teatro nella prima fila, a godere della recita altrui restando di volta in volta divertita o interessata, sbalordita o angosciata. E anche quando l’irritazione mi coglie, freno l’impulso di balzare sul palco per accapigliarmi ancora con i protagonisti. Non mi va più.

Ma la politica è quasi una maledizione, e quindi accade a volte – quelle rare volte – che accetto di incontrare qualcuno per una cena che mi si prospetta galante e spensierata, che appena dopo aver chiuso lo sportello dell’auto, e non aver fatto in tempo nemmeno ad allacciare la cintura di sicurezza, ricevuto magari un complimento sugli occhi che non tradiscono mai, o il viso che è proprio quello che tante volte s’è visto in fotografia, di sentirsi chiedere: “Come pensi che finiremo? Cosa credi che accadrà?” E lo so che non è certo alla conclusione della serata che ci si riferisce, ma sempre e ancora alla politica. Un’altra sera così se ne va, passata come tante, troppe, che ne ho passato, finite magari con le vene del collo turgide e gli occhi arrossati dal fumo nella stanza, fino a concordare sul concetto di Rivoluzione.

Delusa, dopo però penso quel che ho sempre pensato, che la politica, tutto sommato è la regola della vita e niente di più; anche per loro che ne sono ignari. Tutto è politica: gli abiti che indossi, il cibo che mangi, la spazzatura che produci, la moralità e l’etica, lo sguardo che rivolgi verso il prossimo, la solidarietà che dai e che ricevi. E anche l’amore è politica in fondo, visto che mai potrei amare un fascista, e meno che mai potrei sfiorarne la pelle se non con un bastone.

Allora non mi stupisco più – io che odio il telefono – quando ci passo il tempo, con un’amica o l’ultimo malcapitato che mi chiama per un invito a cena, o una serata da passare in spensieratezza, a parlare ancora di ieri e di oggi, del domani che non riusciamo a vedere, dei pericoli che viviamo non riuscendo a sopravvivere, dei propositi di uccidere e di ucciderci, della Rivoluzione che sappiamo non essere possibile, immaginando scenari da film, con gli appesi di Piazzale Loreto, con le risate che alla fine non riusciamo a contenere e che forse ci dedichiamo solo per non cedere al pianto.

Ed anche così, riflettendo, segniamo il solco che divide noi, che la politica ci ha mortificato la vita, da quelli che oggi la politica la fanno davvero. I nostri toni veementi, le nostre chiacchiere, potrebbero procurarci ancora la visita della DIGOS, un avviso di garanzia per eversione, una serata deludente che non finisce a rotolarsi su un letto. I loro toni divertiti, la loro scaltrezza, le loro chiacchiere, potrebbero sortire una retata della buoncostume, un’imputazione per sfruttamento della prostituzione, troppe serate a farsi palpare dal vecchio di turno.

E allora, di tutte le mie sere, non ne rimpiango nemmeno una.

Rita Pani (APOLIDE)

PS … ci rileggiamo mercoledì


Comments:
Rita, forse è proprio questo "dialogare con schiettezza" che è venuto a mancare, questo parlare di robe serie, accompagnati dai sogni, dall'illusione di poter realizzare "robe diverse" di ascoltare la gente, le piazze,di allargare le sezioni, aumentando gli iscritti, era comunque sempre il cuore che spingeva a crederci, euforia entusiasmo e tanta amicizia, nascevano idee e si coinvolgevano i cittadini, che partecipavano sentendosi utili a una causa comune, essere dall'altra parte del potere, essere uniti, essere presenti! diciamolo sottovoce, forse si vedevano sogni che non sono mai diventati realta', ma sono stati bei tempi, ricordati con orgoglio e passione! accompagnata da qualche bicchiere, tante feste, tanta allegria e sana spensieratezza, ha creato la storia della sinistra, in molti sono dispiaciuti dello smarrimento, di aver perso un punto di riferimento, forse l'inquinamento del berlusconismo? ha corroso tutto questo? che brutto! saluti da franco il vecio!
 
"O' passato è passato è nun vale a penzà!" Ciao Guevina sono d'accordo sui tuoi propositi e non sulla "nostalgia " di franco il vecio, poichè se siamo a questo punto dobbiamo ringraziare anche alla malapolitica dei vecchi dirigenti del PCI, almeno di tutti quelli che sono venuti dopo il Grande Erico Berlinguer. Non sei d'accordo? Ma ora sarebbe il caso di rinserrare le file e di prepararci per una nuova e più strenua RESISTENZA, penso io. Un abbraccio. Antonio.
 
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