7.11.2010

 

E c'è il debito pubblico

Comunque è bello, vivere. Riempi scatoloni, butti un occhio all’orologio che hai appeso al muro e vedi che son le sette della sera. Accendi la TV, perché da tanto non vedi un telegiornale e mentre continui a fare quel che stai facendo lasci parlare.

Iniziano a dirti che nel governo ci sono incomprensioni, che c’è qualche problema, ma nemmeno tanto grave. È solo una questione di numeri, è solo fredda contabilità che si risolve. Strappi il nastro adesivo, e inizi a sorridere perché la lega non vuole casini, ma intanto salta fuori bocchino … però la pagina politica continua con denis verdini, che non deve fare come branhcer, dimessosi troppo frettolosamente. C’è sempre chi in questi casi ricorre ai valori di una giustizia equa che i processi li svolge nelle aule di giustizia e dopo tre gradi di condanna. Solo allora, al limite, si potrà discutere se sia il caso o no che il sottosegretario all’economia, gestore dei soldi della mafia e della P2 2.0 (ma anche 3), stia o meno al suo posto.

Appare chiaro anche al più imbecille degli italioti che la cosca che hanno legittimato a governare stia spolpando anche i cadaveri seppelliti di fresco, ma si deve parlare della manovra economica e invitano l’illegittimo presidente della Regione Piemonte, capace almeno di non mettersi la maglietta al contrario e quindi più dotato della media leghista. Egli, con audacia e sprezzo del pericolo, è capace di parlare di risanamento del debito pubblico, e di federalismo fiscale, che dovrebbe garantire alle regioni una sopravvivenza senza assilli, e una migliore gestione dei fondi pubblici che, per sua stessa ammissione, sono pochi. Mi chiedo se gli sia passato per la mente che i soldi non ci sono, perché anche loro leghisti hanno partecipato in qualche modo alla spartizione, ma sono domande che mi restano appese, tra uno sbuffo e una parolaccia di fatica. E poi ci sono le nuove regole per le imprese, l’ennesimo regalo a chi deve raschiare le briciole di un’economia ormai agonizzante. Vedremo spuntare il cemento dove ormai nemmeno le aquile osano più perché le hanno estinte. Mi ricordo che l’anno scorso in Sardegna vidi una strada in mezzo al nulla, e mi domandai a che cosa potesse mai servire. Ora lo so, a cappellacci, carboni e la P3.

E ritorno sempre alle stesse congetture, mentre decido di smettere di faticare, che poi in fondo non ne vale nemmeno la pena, mentre iniziano a raccontare l’ennesima barzelletta di Gheddafi che aprirà un’inchiesta per comprendere come mai i profughi eritrei siano stati imprigionati e tenuti segregati sotto terra, su mandato del tizio che tutti ricordiamo nell’elegante gesto di baciare la mano all’amico libico; cosa che ormai, dopo Totò Riina e Andreotti non fanno più nemmeno in Sicilia.

È davvero possibile che tranne che a qualcuno – imbecille quanto me – sembri normale che un governo palesemente formato da criminali, ladri e malavitosi resti a giocarsi il destino di una nazione intera che ormai è davvero già morta?

Sarà che fa caldo e poi oggi è pure domenica. Magari me lo richiederò domani, anche se il lunedì è sempre un po’ faticoso.

Rita Pani (APOLIDE)


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