3.17.2010

 

Tutto sommato siam fortunati

E siccome non bastava morire uccisi dal lavoro, si può anche decidere di morire di disoccupazione. Ieri due, un meccanico di Napoli e un impiegato in un supermarket a Salerno. Uno si è impiccato e l’altro si è sparato. Uno aveva 59 anni, e l’altro 47.

Non vi è risalto per queste notizie, appaiono e un attimo dopo scompaiono nella selva di informazioni diffuse via Internet, e in televisione non trovano spazio, divorato a grandi morsi dal nulla che ci tiene ben saldi oltre la realtà.

Un silenzio che a volte è utile in modo bipartisan, per convincersi che tutto poi non sia così grave come i comunisti sporchi e cattivi vogliano far credere. Certo, quel che resta della sinistra ancora ogni tanto pronuncia la parola “lavoro”, mentre a destra ormai è ovvio che la guerra sia intestina.

Non bisogna dire che ogni giorno c’è chi si uccide per disperazione, perché si potrebbe insinuare il dubbio anche in colui che si sente fortunato, perché ancora ha un lavoro retribuito, e perché si accontenta di quel che ha. Si è ormai radicata in molti l’idea del meno peggio, che è diventata quasi una filosofia di vita. Anche la mia, purtroppo.

Da anni ci trasciniamo così, senza pretendere nulla di più, facendoci forti di un senso di responsabilità che abbiamo sviluppato partecipando a questa sorta di Resistenza passiva, fatta di civiltà e di invasioni di piazza festose.

Sono fortunato perché ho un lavoro sottopagato, sono fortunato perché mi hanno rinnovato tre mesi di contratto, sono fortunato perché ancora posso mettere dieci euro di carburante in macchina, sono fortunato perché posso ancora fumare un tabacco di merda che mi squassa i polmoni ad ogni tirata, sono fortunato perché ancora non ho deciso di impiccarmi. Ce la raccontiamo tutti i giorni questa favola, che esorcizza e ci mette al riparo dalle forti sensazioni e tentazioni.

In questi giorni, poi, in cui ci ostiniamo a difendere coi denti la Costituzione, tutto stride ancor di più. L’articolo 1, il più importante, non viene citato quasi mai. Eppure sta alla base della vita democratica dell’Italia, essendo una Repubblica fondata sul lavoro. Come potremmo reagire essendo coscienti che ogni giorno si muore da Pordenone a Palermo, solo perché il lavoro non c’è?

Reagire è una parola grossa, molto spesso mi sembra più un tignoso tentativo di non soccombere, di non darla vinta a questa feccia che ci governa; un altro e diverso modo di “accontentarci” sentendoci partecipi di una storia che non saremo noi a scrivere.

La rivoluzione non è un pranzo di gala.

Rita Pani (APOLIDE)


Comments:
Ciao Guevina, rieccomi a te. Come stai? Spero bene nonostante che "la rivoluzione non sia un pranzo di gala". Parli del lavoro e dell'art. 1 della Costituzione, ma, secondo me, i potenti pensano che la Repubblica Democratica fondata sul lavoro va intesa, o sottintesa, "SUL LAVORO DEGLI ALTRI"- se e quando, e di che tipo, c'è. Vorrei che sabato prossimo il popolo sia capace di dimostrare di avere un pizzico di dignità disertando il prezzolato raduno delle destre e non accettando provocazione alcuna, perchè questo vorrebbero per passare da martiri. Ciao. Antonio.
 
Ben tornato Antonio, spero vada tutto un po' meglio.
;-)
R.
 
...una Repubblica affondata sul lavoro, direi. ciao
 
Ciao Guevina, Grazie del "bentornato" e della tua speranza beneaugurante. Ora va meglio ma ancora non va tutto bene. Tu mi comprendi se ti parlo di un ciclo di chemio da fare... Speriamo bene e che Iddio, nel Quale credo fermamente, ci aiuti ad auscirne. Un grazie ed un abbraccio. Antonio.
 
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