10.24.2008

 

La protesta deve continuare

La Polizia, anzi no. Attacchi terroristici, ma convoco gli studenti. In piazza gruppi di facinorosi. Solo tre delle affermazioni dei grandi statisti che ci sono al governo di questa misera Italia, Perché?

Perché urge lo scontro, urge far scorrere un po’ di sangue per facilitare la militarizzazione del paese. Perché?

Perché le banche sono al collasso (persino quella che si è “comprata” l’Alitalia, e che a breve rivenderà a Airfrance senza però i limiti e le assicurazioni che aveva posto la mediazione del governo Prodi) e la prima stima monetaria, che andrà a carico dello stato, per salvare il culo dei banchieri e dei pochi risparmiatori che potranno salvare il salvabile è di 20 miliardi di euro. Questa è la cifra che berlusconi si è sempre rifiutato di dire.

È verissimo che gli studenti corrono il rischio della strumentalizzazione, ma essa non arriva da sinistra, bensì potrebbe arrivare proprio dal governo. Non sarebbe un’usanza nuova, basta ricordare come tutto accadde a Genova. Solo che ora non è in gioco l’apparenza nei confronti dei paesi amici, non si tratta di far stendere o no le mutande ad asciugare su un filo. Qua si tratta di prepararsi a debellare le sommosse popolari, quelle dei lavoratori che dall’oggi al domani perderanno il lavoro, dei risparmiatori che non troveranno più i loro soldi, della gente che sarà alla fame. E quindi basta con le minchiate. Hanno necessità di militarizzare il paese, di negare i diritti allo sciopero e alla protesta, e soprattutto hanno necessità di impedire che le reali forze di opposizione possa ricompattarsi.

La protesta della scuola deve continuare, oltre che per salvare quel pochissimo che è rimasto del diritto all’istruzione, anche per tentare di dare una parvenza di democrazia al Parlamento, ridotto peggio di un’azienda privatizzata. Non resta più nulla se non le poltrone e i privilegi, tutto il resto, compresa la democrazia è stata fatta a pezzi da chi nemmeno lontanamente ha idea di cosa voglia dire governare. Il parlamento ridotto come un’azienda di cui una famiglia possiede la maggioranza delle azioni, e che convoca il consiglio d’amministrazione solo pro forma o per statuto, ma che in sostanza non può prendere alcuna decisione, se non proposta dal padrone. Questo è quello che è diventata l’Italia dei decreti legge, delle norme insulse, del decisionismo che in realtà non decide nulla, e che in silenzio continua ad approvare leggi e regolamenti pro domo sua.

Rita Pani (APOLIDE)


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