9.20.2007

 

E' solo fiction

Durante i giorni passati in Sardegna, ho avuto la possibilità di andare a visitare il Museo della Grande Miniera di Serbariu. Si chiama così, anche se in effetti, a noi viene meglio chiamarla la miniera di Carbonia, dato che la città le nacque intorno per contenere proprio i minatori che ci lavorarono.
Il mio interesse nasceva anche dal fatto che come molti, nella mia città, anche io ho avuto un nonno che là dentro ci ha lavorato, e se pure non ci è tecnicamente morto, è comunque morto giovane, e di miniera. Io non l’ho mai nemmeno conosciuto, se non nei racconti amari di mia nonna.
Il museo è visibile da lontano; quelli che per noi carboniensi, fino a poco tempo fa, apparivano ruderi occupati da artigiani abusivi, famiglie di concittadini senzatetto, alle quali si unirono poi i primi migranti dell’est, che ne fecero una baraccopoli, ora colorano col giallo delle mura e il verde dei prati delle rotonde, l’ingresso alla città.
Arrivando mi chiedo che fine abbiano fatto, tutti quei panni stesi ad asciugare, i bambini scalzi che correvano dietro a una palla o su biciclette sverniciate.
La prima tappa della visita al museo è la grande sala della lampisteria, che conserva ancora il bianco del marmo di travertino, consumato dal passaggio del tempo. Dentro le teche sono conservati gli oggetti in uso ai minatori, le lampade a carburo, i libretti di lavoro, registri originali, telefoni e soprattutto attrezzi. Anche qua il tempo disegna il disagio. Considerare le variazioni tra passato e presente mi lascia atterrita. Ci sono i caschi che poteva aver usato mio nonno, e quelli super teconologici di oggi, i kit d’emergenza del passato e gli zaini metallici salvavita odierni. Guardando penso all’epoca di nonno, quando si scendeva a petto nudo e con quel ridicolo baschetto in testa, mantenendo la lampada a carburo in mano. Nella sala si è aiutati da contributi audiovisivi, che nelle cuffie sparano le voci ridicole dei documentari dell’epoca, che irresponsabilmente mi provocano un sorriso, forse anche per colpa dello straordinario Guzzanti in Fascisti su Marte.
Fortunatamente, la storia è raccontata asetticamente anche su pannelli fotografici, e parte prima della foto del ’37, quella in cui mussolini pose la prima pietra della città di Carbonia inaugurata poi a Dicembre del 38. C’è persino lo sciopero del ’20, poi quello del ’48. Ci sono i minatori in galleria, facce nere in corpi smunti. C’è la fatica su quei pannelli, c’è il dolore della morte, c’è la storia dello sfruttamento e l’avvento del progresso, c’è la fine che riporta anche la fame.
La seconda tappa del giro comincia quando il gruppo viene richiamato dalla guida, che invita a prendere un baschetto colorato da mettere in testa, per sicurezza. Si scende in miniera, penso, il ritorno al passato ha inizio. I primi dubbi mi assalgono davanti ai motori dell’argano che faceva scendere e salire uomini e materiali in profondità: la nostra guida mette in risalto la perfetta tecnologia tedesca, unita alla grandezza di quella italiana. Forse sono prevenuta, penso. Quei cavi d’acciaio e quelle ruote, sono davvero maestose. Scendiamo qualche gradino ed ecco che ci troviamo in un cunicolo foderato di mattoncini; in fila si procede, tra vagoni fermi e carichi di materiali, e foto appese alle pareti che mostrano il passato. Dietro un angolo ecco la truffa. Le pareti sono palesemente un falso, non è carbone (in miniera non si può scendere, la guida stessa lo ammette) ma una riproduzione abbastanza fedele che si perde sollevando lo sguardo e notando che anche la volta in cemento armato, è stata dipinta di nero, per rendere l’atmosfera più verosimile. La gente che fa parte del mio gruppo, nessuna di Carbonia, si immerge nel dorato mondo da fiction, posa la mano sul finto carbone e poi se la guarda, certa che sia diventata nera (come dice una canzone) e qua la guida è pronta: “Il carbone è stato messo in sicurezza con una resina particolarmente costosa che lo ha neutralizzato”. Le varie tipologie di cantieri d’estrazione sono riprodotti fedelmente, ma la guida in questo caso, è vago. Serve a rappresentare l’arco temporale che va dal 37 al 2007, sebbene la miniera (l’ingresso della miniera) nella quale ci troviamo sia stata chiusa definitivamente nel 1964.
Il racconto continua, e continua la fiction. La guida sciorina cifre di materiale estratto, numeri di uomini che là dentro hanno lavorato oppure sono morti, e per un paio di volte, accompagnandolo con un occhiolino cita anche “lui”. Il mio stomaco prude e si ribella, tanto che sostando accanto ad un cumulo di pietre penso che, se mi dirà che i treni arrivavano in orario, gliene tirerò uno in testa (tanto ha l’elmetto protettivo, che inizia così ad avere un senso). Ma il peggio lo raggiunge quando ci racconta un mondo fantastico, in cui quelli uomini erano “felici” di andare sotto terra, e di come essendo originari di tutt’Italia, chiamassero a sé amici e parenti, in un’allegra brigata di goliardici compagnoni. Di quando durante la guerra lavorassero alacremente, per soddisfare la richiesta pressante di materiale, fatta da “lui”.
La fiction raggiunge la farsa quando parla delle donne che lavoravano in laveria. Ci dice che qualcuna superstite, ha raccontato delle cose che non ci dirà, e dal gruppo si eleva la domanda di una donna (per le donne): “Ma queste donne usavano i guanti?”
“No, e certo la crema per le mani non era sufficiente”.
A quel punto vorrei scappare. Il museo della miniera nasce come occasione ed è già perduta. Fa parte della più becera italianità che ha perso il senso stretto che la storia deve avere. La storia non è sempre piacevole, ma ormai la si racconta spesso solo in Tv e sottoforma di fiction; difficilmente la si va a cercare sui libri di storia, o come in questo caso, per ciò che riguarda me, nelle parole di chi quella storia l’ha vissuta.
Finalmente usciamo, e svoltata la prima curva siamo a Carbonia, quella dei centri commerciali, e delle scuole, tante scuole, troppe inutili scuole.


… Durante il periodo fascista e la guerra, il direttore della miniera chiese un aumento di 5.000 operai per riuscire a soddisfare il fabbisogno di carbone. C’era la guerra e gli uomini si mandavano al fronte, così si pescò nelle carceri e a Carbonia arrivarono ergastolani, omosessuali o comunisti, spediti al confino e ai lavori forzati.

Le donne in miniera arrivarono quando iniziarono a scarseggiare i danari per i risarcimenti dei morti o degli ammalati di silicosi, e fu solo la scelta dettata dalla fame, di quelle povere donne che in miniera o per la miniera, avevano perso il marito.

La solerte guida, il narratore di storie, ha parlato anche dell’oggi, della felicità con la quale ancora si scenda nell’unica miniera di carbone rimasta attiva, ma s’è scordato di dire, o forse non era allegro da dire, che è attiva quasi come un parassita, dal momento che per far funzionare la super centrale dell’Enel a Portovesme, che dista un tiro di sputo dalla miniera di Nuraxi Figus, il carbone vieme importato via mare dalla Siberia. S’è scordato di dire anche che, come accadde il 4 Ottobre del 2000, a volte le carboniere si inabissano nel nostro bellissimo mare, divenendo in seguito “archeologia marina”, magari da andare a visitare con tanto di guida, che chissà quale storia ci racconterà. Forse una come quella che ho sentito io, che possa far credere davvero che mussolini, mandava la gente in vacanza a Carbonia.

(A mio nonno Michele, morto di carbone)

Rita Pani (APOLIDE)


Comments:
Un post bellissimo, sentito, intenso e preciso.

Mi ha commosso, ed indignato per quello che concerne l'assurda atmosfera da giro turistico di gardaland che permeava gli altri turisti presenti.

Ma non è un'occasione persa, perchè questo post vive e racconta di quella realtà, realtà che altri andranno a vedere e magari, dopo aver letto questo tuo post. non con un sorriso "durbans"da ebeti stampato in faccia ma con lo sguardo di chi è conscio di quello che quella miniera ha rappresentato e quello che ancora oggi signifia lavorarci.

Grazie, un post importantissimo

Daniele
 
Io invece quest’estate ho visitato la miniera di Montevecchio (non si può scendere, comunque). Devo dirti che ho trovato quella visita molto interessante, soprattutto grazie alla guida che ha fatto comprendere veramente che cosa significasse lavorare in miniera e quali sono state le lotte che i lavoratori vi hanno condotto. Ti posso assicurare che era tutta un’altra musica rispetto a quella che è toccata a te.
 
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