1.07.2007

 

Chi vuole essere impiccato?

Era attesa per oggi la seconda puntata del nuovo reality show americano, ambientato nel nuovo Iraq, ospitale e democratico; ancora però, tutto tace.

Le forche sono restate inutilizzate e l’attività dei boia democratici è stata congelata.
La rinnovata e democratizzata giustizia irachena ha scaturito reazioni e prese di posizione soprattutto in Europa, tutti siamo a conoscenza della meritoria opera del governo italiano, impegnato a portare nuovi stimoli di civiltà all’ONU, con la richiesta di moratoria universale contro la pena di morte. Altri paesi si sono uniti all’Italia, facendo crescere le probabilità di riuscire, se non altro, almeno a parlarne.
Così oggi, mentre i bimbi di tutto il mondo attendevano di assistere allo spettacolo televisivo, mentre i navigatori di Internet vigilavano sulle new entry di YouTube arriva l’appello dell’ONU con le parole di Ban Ki-Moon, “fermate le nuove esecuzioni”.
Anche Roma ha lanciato il suo monito al mondo, accendendo le luci al Colosseo; tutto è molto suggestivo, anche le parole di Veltroni lo sono state, ma nonostante tutto io continuo a chiedermi perché.
A vedere il mondo così, potrebbe apparirci un luogo abbastanza bello da poter quasi scegliere di viverci. Una città in festa per dire no alla pena di morte, l’Organizzazione delle Nazioni Unite che combatte contro le forche, quasi come se il linciaggio di Saddam Hussein e la sua barbara uccisione, fosse stato un caso unico ed inaspettato e che tale dovesse restare.
La domanda che mi sorge spontanea è: “se l’abominevole fine di Saddam Hussein non fosse stata trasmessa in video, rendendo tangibile l’orrore dell’inciviltà, la società civile, avrebbe perseverato nella protesta?” Probabilmente no, perché l’offesa non è tanto “sapere” quanto “vedere”.
Noi sappiamo che sono ancora troppi i paesi in cui vige la pena di morte, sappiamo quanti e quali siano i metodi utilizzati nei diversi stati per praticarla, conosciamo il lettino per l’iniezione letale, la sedia per la sedia elettrica, ma non abbiamo mai avuto l’occasione di vedere l’agonia dell’uomo che muore, e per questo non sentendo mai l’esigenza di illuminare a giorno il Colosseo o un altro monumento nazionale.
Anche quello che sappiamo poi è spesso discutibile. Non so quante volte mi sia stato rinfacciato o augurato di finire a Cuba “che c’è la pena di morte” o in Cina “che c’è la pena di morte”. Mai nessuno che mi augura una trasferta in Texas, (quando governatore era bush) o a New York che ha provveduto a ripristinare l’antica tradizione.
Temo che ora il problema sia un altro, ovvero il decadimento dell’unico alibi possibile. Sono stati troppi i tentativi di farci digerire la sporchissima guerra all’Iraq, una guerra per la pace, una guerra contro il terrorismo, una guerra per la democrazia, ma la corda al collo di Saddam, gli insulti e la derisione è stata la conclamazione della realtà. Più di mezzo milione di morti per ucciderne uno soltanto e derubare un paese delle sue ricchezze naturali, storiche e culturali.
Purtroppo però c’è chi la sporchissima guerra in Iraq l’ha digerita benissimo assimilandone il peggio e metabolizzandone tutta la porcheria.
Copio la conclusione di un articolo aberrante, postato su dada.net da un tal Vins Roboris, “scienziato” che ha trovato del tempo da dedicare all’argomento, ovviamente considerando soltanto la pena di morte nei paesi “comunisti” o “post-comunisti”:


“La Cina è uno dei più accaniti sostenitori della pena capitale ed ha sempre respinto, definendole ingerenze nei suoi affari interni, le iniziative occidentali per una moratoria delle esecuzioni ed una loro futura abolizione. In Asia orientale anche Stati occidentalizzati come Giappone (in cui i familiari del condannato sono avvertiti ad esecuzione avvenuta...), Filippine e Singapore (spietata coi trafficanti di droga) applicano la pena di morte cosi' come i residui Stati comunisti del mondo: Vietnam, Cuba e Corea del Nord. Solo una loro democratizzazione, e quella della Cina, puo' farli rinunciare a quest'utile arma di controllo e repressione interna.”

Illuminiamo il Colosseo, illuminiamo la Cappella Sistina, la Torre di Pisa, il bastione di San Remì, la statua di Carlo Felice; illuminiamo a giorno ogni vicolo buio della mente umana per far sì che mai più nessuno debba venire a raccontarci la favola della democrazia.

Rita Pani (APOLIDE)


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