12.12.2006
Lettera per Piergiorgio Welby
Caro Piergiorgio,
Le invio questa mia lettera tramite l’Associazione Luca Coscioni per offrirle la mia competenza e la mia coscienza di medico.
Lei non è, come dice, soltanto prigioniero del suo corpo. La sua prigione ha pareti e sbarre ben più robuste costruite con l’ipocrisia. Un’ipocrisia che pensa che la via per la soluzione al suo personale problema sia politica o giudiziaria. Non è così, né sarà così a lungo.
Allargare il suo problema alla “Eutanasia” significa disperdere il suo personale bisogno ed il rispetto di un suo sacrosanto diritto in un oceano di disquisizioni etiche rese praticamente inaffrontabile dalla forte presenza ed influenza delle gerarchie ecclesiastiche nel nostro Paese e sulle forze politiche.
Mi offro di darle quella assistenza che lei con tenacia chiede, in grado di interrompere la sua sofferenza.
E’ una cosa che noi medici abbiamo fatto e facciamo ogni giorno nel chiuso delle camere di Ospedale e nelle case private dei nostri pazienti e nel chiuso del silenzio e del tormento dei nostri pensieri e di quelli dei parenti. Volontariamente e scientemente. Secondo scienza e coscienza.
A volte lo facciamo per errore. Nel tempo che sto dedicando a questa lettera è successo 3 o 4 volte, secondo le statistiche.
Sestri Levante, 11 dicembre 2006