4.03.2006

 

Il diritto di cronaca, il morboso bisogno di sguazzare.

Succede ogni volta, ormai è prassi. Il sangue di un bimbo innocente colma lacune insospettabili, rinvigorisce l’altrui parvenza di bontà, diventa fenomeno di patologia sociale da studiare, sminuzzare, triturare, fino a divenire un prodotto del quale non si possa fare a meno, trascendendo ogni logica di buon senso che solo nel rispetto dell’altrui dolore potrebbe scoprirsi.
L’evoluzione della tecnologia aiuta questo processo di decomposizione dell’umanità, con le telecamere e i mille telegiornali, con le televisioni a volte più violente di uno stupratore.
Già da ieri andava in onda il paradosso, quando il telegiornale Sky denunciava il fatto che i familiari del piccolo Tommaso Onofri avessero appreso la notizia dallo stesso telegiornale. Oggi ho quasi il dubbio che non fosse una denuncia ma il riconoscimento alla meritoria opera.
Siamo usi al peggio, veniamo da Cogne, dai plastici studiati con perizia da tuttologi, criminologi, sociologi, avvocati penalisti, attivisti a sostegno, associazioni spontanee di privati cittadini a sostegno o contro assassini o vittime.
Ho visto stasera lo speciale TG1, un antipasto di quello che sospetto sarà il primo piatto Porta a Porta, con il criminologo specializzato che osserva le interviste che il presunto assassino ha rilasciato, probabilmente a pagamento alle trasmissioni avvoltoio della TV, cercando risposte nell’aggrottarsi del sopraciglio assassino. Spiega il criminologo, il perché di quel movimento incontrollato, mentre si pronunciano parole come, bambino, genitore e colpa.
Poi ancora si scandaglia la vita di un padre, che forse ha oppure no alcune colpe, e mentre il bravo giornalista, del quale fortunatamente mi sfugge il nome, sottolinea il fatto che la morte del piccolo in alcun modo è legata a lui e alle sue presunte devianze, non si sa se i processi saranno uniti o differenti.
Come? Se un fatto non è legato all’altro perché mai si dovrebbe processare un padre con l’assassino del figlio?
Non è importante, l’importante è rimestare il torbido, in modo che tutto possa sembrare peggio di come è. Ma che ci potrebbe essere di peggio della morte di un bimbo di 18 mesi, abbandonato sotto terra, colpevole d’aver pianto?
Dobbiamo sapere tutto, proprio tutto, e se non abbiamo voglia di leggere, allora è bene che ci siano le figure. Così le foto rubate di un padre che ha pianto, di una madre che dopo un mese sembra una nonna. Violenza che si aggiunge alla violenza, persino in quelle parole, spero sfuggite, ad un altro cronista: “Purtroppo nella villetta di Casalbaroncolo hanno chiuso gli scuri.”
Perché purtroppo? Perché diversamente quel dolore avremmo potuto smettere di immaginarlo soltanto, e l’avremmo potuto toccare?
Poi, come sempre eccola che arriva, la protagonista, è lei, è la pena di morte, che in periodo pre-elettorale non è certo da gettare via; un’occasione da sfruttare al meglio, si va dalla richiesta del referendum per ripristinarla, alla negazione perché cristiani, o alla inciviltà del gesto però…
Manca solo una cosa in questa vicenda, l’unica che forse ora ci starebbe bene, il silenzioso e rispettoso cordoglio
Rita Pani (APOLIDE)

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