11.13.2003

 

Il "Giornale dei carabinieri":sono stati uccisi per la guerra di Bush. Ora basta

Tre settimane per morire
Nelle caserme dell'Arma non solo si è pianto di dolore e di commozione, ma anche di rabbia perchè non si doveva aspettare la strage, non bisognava mandare i carabinieri in Iraq per partecipare a una guerra americana. Il
comando generale dei carabinieri ha fatto sapere che sono arrivate migliaia di attestazioni di solidarietà, ma Il Giornale dei carabinieri, letto da trentamila carabinieri, ha espresso anche il sentimento di angoscia per un sacrificio imposto da una guerra insensata. Dice l'editoriale firmato dal maresciallo Ernesto Pallotta: «Non dovevamo aspettare i morti per meditare sull'impegno italiano in Iraq. Contrariamente a quanto affermato da Bush, i fatti dimostrano che in Iraq vi è ancora la guerra. L'Italia non ha avuto un mandato parlamentare per partecipare a un conflitto armato. Di fronte ai
morti diciamo basta e l'Italia deve allinearsi ai comportamenti assunti dalla maggior parte dei Paesi europei». C'è anche una dichiarazione del maresciallo Formiga, segretario generale del sindacato carabinieri in congedo: «Ci chiediamo con dolore perché i carabimnieri devono morire per terrorismo all'estero. Chiediamo con forza che il nostro contingente torni
in patria». L'hanno chiamata missione «antica Babilonia», ci partecipano tremila militari italiani, quattrocento sono carabinieri: operano nell'Iraq meridionale sotto comando britannico. Il loro principale compito definito «umanitario» è quello di «concorrere al mantenimento all'ordine pubblico». In un Paese occupato militarmente significa far rispettare le regole imposte dagli occupanti.
Sono passati 24 giorni tra le minacce contro l'Italia e l'attentato che ha fatto strage di carabinieri, soldati e civili irakeni nelle palazzine del comando militare italiano a Nassiriya. Il messaggio di Al Qaeda trasmesso il 18 ottobre dalla tv del Qatar diceva: «Ci riserviamo il diritto di rappresaglia, al momento giusto e nel posto giusto contro tutti i Paesi che
prendono parte a questa guerra iniqua, vale a dire Gran Bretagna, Spagna, Australia, Polonia, Giappone e Italia». Lo sceicco Omar Bakri, vicino alle posizioni di Al Qaeda, aveva avvertito gli europei che le minacce andavano
prese sul serio. Come sempre la strategia terroristica ha messo in atto la sua devastante potenza nel luogo più vulnerabile, una città dove i militari italiani si sentivano protetti per aver fraternizzato con la popolazione,
dove le strutture militari erano difese solo da sacchi di sabbia, dove non c'erano segnali allarmanti di guerriglia. Dopo le minacce, i vertici della Difesa avevano rafforzato la presenza del Sismi, il servizio segreto militare, sulla cui capacità di penetrazione tra i gruppi della gerriglia, erano fondate le speranze di poter evitare un'azione contro l'Italia. Gli
agenti segreti avrebbero dovuto cercare contatti con le formazioni guerrigliere che avevano più peso nel controllo del territorio di Nasseriya: bisognava convincerle che i nostri soldati svolgevano solo compiti umanitari e offrire loro dei vantaggi se non li avessero considerati nemici. Missione difficile, al confine con l'irrealtà. Per questa è fallita. Dopo la strage il Sismi ha catapultato in Iraq altri agenti segreti per capire le ragioni del fallimento.
«Scopriamo ora - dice Luigi Bonanate, docente di studi strategici all'Università di Torino- che in Iraq c'è una guerra a cui una parte sta reagendo con una guerra di guerriglia. Quando si è deciso di mandare "i nostri ragazzi" in Iraq si è usata la coloritura di dire che andavano per motivi umanitari e non come alleati degli Stati Uniti. E oggi ne piangiamo
le conseguenze. Quei militari morti sono vittime del lavoro mandate in un cantiere malsano, come l'immigrato albanese morto nel malsano cantiere di Genova. Sono la tristissima testimonianza che non era vero, come hanno cercato di farci credere, che tutta la popolazione irakena era contro Saddam, che bastava rovesciare la statua del dittatore, per fare accettare l'intervento militare straniero. Il futuro dell'Iraq è nero, nero, nero. E' possibile che gli attentati continuino a colpire obiettivi situati prevalentemente nel territorio irakeno, perché le formazioni della guerriglia la ritengono una guerra di liberazione. Ma se non si rimuovono le ragioni della guerra, c'è il rischio che gli attentati siano esportati in
altri scenari, come Europa o Stati Uniti, per coinvolgere ancora più profondamente l'opinione pubblica internazionale».
La possibilità che le minacce siano seguite anche da azioni terroristiche nei Paesi occidentali è stata subito presa in considerazione dai nostri organismi di sicurezza. Il Ministro Pisanu ha convocato i vertici dell'antiterrorismo per studiare nuove misure di protezione per gli obiettivi più sensibili: saranno intensificati i servizi di vigilanza oltre che per gli aeroporti, le stazioni, le ambasciate anche per le strutture militari.

Annibale Paloscia

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